Canzoni e una piccola (grande)
storia che continua...
Dopo gli spettacoli seguiti alla pubblicazione di E tu come stai?, inizia
un'altra pausa, piuttosto lunga: all'interno dei confini nostrani la presenza di
Claudio diviene impalpabile e, dopo le esibizioni già sottolineate in terra
cecoslovacca, di lui non si sa più praticamente nulla. Da sempre refrattario
alle luci della ribalta, il cantautore comincia a eclissarsi per trovare la
concentrazione necessaria alla realizzazione del suo progetto futuro. Da qui in
poi, la sua vita artistica sarà sempre più costellata di questi intervalli da
lui stesso definiti "biblici" che hanno messo a dura prova l'attaccamento,
peraltro mai venuto meno, dei suoi sempre più accresciuti e affezionatissimi
fan.
In effetti, però, in questo periodo compreso fra la stesura d'una canzone e
l'altra, il nostro opera sporadiche quanto inusitate performance a sorpresa in
alcuni piano–bar, dinanzi ad avventori sorpresi e increduli.
Comunque Baglioni trascorre i mesi
finali del 1980 a Moltrasio, località montana in provincia di
Como per iniziare
la stesura delle nuove canzoni. Sembra che proprio in questi luoghi abbia
occasione d'incontrare il talentuoso produttore Geoff Westley, già collaboratore
degli ultimi lavori di Lucio Battisti e che, dopo un fitto discorso sui progetti
di ciascuno, i due decidano di lavorare insieme. Così, in
novembre, Claudio si
reca in Inghilterra e per la precisione negli studi Manor di Oxford per
registrare le basi e mettere a punto la produzione. In un'intervista rilasciata
alla testata per adolescenti
Il Monello, pubblicata in
dicembre, Claudio
annuncia che il suo nuovo disco è ormai in via di definizione e necessita
soltanto di una piccola messa a punto: la sua uscita viene annunciata per il
gennaio o, al più tardi, per il
febbraio 1981. Il cantautore svela anche, in
anteprima, il titolo del suo nuovo lavoro che sarà Strada facendo e assicura
che ha dovuto fare una sofferta cernita per scegliere le canzoni da inserire
nella compilazione: "il materiale campionato era moltissimo, tale che sarebbe
stato tranquillamente possibile realizzare un album triplo".
Nonostante questa assicurazione ufficiale e una ridda di voci ufficiose sulla
sempre più imminente uscita, anche maggio trascorre senza che vi sia la tanto
sospirata pubblicazione. Pare che il lavoro di lima e cesello sul disco si sia
protratto più a lungo del previsto e sia destinato a durare ancora molto, come
una tela di Penelope tessuta di giorno e disfatta di notte: il nostro non si
sente del tutto convinto e, per sua stessa ammissione, non ha moltissima voglia
di dare la luce alla sua nuova "creatura". Tuttavia, nel
giugno 1981, la CBS
pubblica finalmente
Strada facendo, canzoni e una piccola storia che continua,
il nuovo attesissimo ellepì di Claudio Baglioni.
Arrangiato, oltre che prodotto e
suonato dal già citato Westley, supportato da collaborazioni di musicisti
stranieri (Stuart Eliott e Pete Van Hooke alla batteria, Andy Brown al basso,
Paul Keogh e Ray Russel alle chitarre, Frank Ricotti alle percussioni), il disco
è una sorta di fulmine a ciel sereno, soprattutto se confrontato con il
precedente: critica, pubblico e addetti ai lavori hanno ancora nelle orecchie le
suadenti e diafane melodie di E tu come stai?, incorniciate da testi semplici
e sentimentali, che rispetto a quanto viene ora proposto paiono essere
produzione di un autore diverso. Quella maturazione che sembrava essere in
embrione già ai tempi di Solo e che s'era forse volutamente arrestata nella
produzione appena successiva pare essere improvvisamente giunta a termine e in
maniera clamorosa: Strada facendo è disco di amplissimo respiro che spazia da
problematiche sociali alla canzone d'amore classica passando per
un'autobiografia che tuttavia, e paradossalmente, viene resa "generalizzante" in
quanto applicabile all'esperienza di ciascuno. Forse è proprio quest'ultima la
chiave di lettura atta a interpretare la filosofia di quest'ennesimo lavoro:
Baglioni adatta le sue proprie storie, la sua propria "vista intima" che non è
più, ora, solo costituita dall'argomento sentimentale, alla realtà del generale,
trovandovi riscontro e riuscendo ad approfondirla come mai era riuscito a fare.
A sostenere quest'intento di narrativa introspettiva contribuisce anche la
struttura delle canzoni, tutte configurate in prima persona; persino la
copertina che riporta un primo piano strettissimo dell'artista pare rispondere
all'esigenza di esposizione assoluta e totale.
Claudio riesce a utilizzare anche, per larga parte, il veicolo espressivo della
poesia, toccando vertici di ispirazione notevole. Il disco è legato insieme da
quattro piccoli frammenti solo voce e chitarra, che narrano inequivocabilmente
della reale vita dell'artista, mentre le canzoni che vi si alternano utilizzano
gli elementi autobiografici come spunto per identificare situazioni di carattere
generale, siano essi di connotazione sentimentale, sociale, di costume e, per
certi versi, persino di ordine politico. Eppure, nonostante questo inaspettato e
improvviso "impegno", i pezzi mantengono un linguaggio abbastanza chiaro e
colloquiale, in modo tale da risultare comprensibilissimi e immediati. Anche le
melodie, parallelamente ai testi, palesano una evidente discrepanza con i lavori
precedenti, lasciando uno spazio inconsueto anche a elementi di rock aggressivo:
in aperta contrapposizione con la scelta di E tu come stai? infatti, qui sono
le composizioni testuali ad avere maggiore rilevanza su quelle più
specificamente armoniche iscritte nel pentagramma.
• |
"51 Montesacro e tutto
cominciava", incipit del disco, è la prima delle introduzioni che rivelano
scorci di episodi autobiografici e che si ripeteranno periodicamente,
all'interno del vinile, in altre tre occasioni: intitolate anonimamente Uno,
Due, Tre e Quattro (quello di 51 Montesacro è titolo
improprio anche se utilizzato dallo stesso autore per identificare il brano in
questione sulla copertina del successivo Alé-oó), esse si dispiegano dalla nascita dell'autore
sino alla prima adolescenza, riproducendo, in brevi racconti di notevole
efficacia narrativa, le atmosfere di una crescita normale e contrassegnata da
una realtà semplice e ordinaria.
|
• |
Il brano che, invece, inaugura
realmente il disco, denota una vivacità abbastanza inconsueta e ricca di
elementi musicali solitamente estranei alle armonie baglioniane: Via è un
pezzo piacevolmente rock, contrassegnato dalle percussioni che lo incalzano e
alimentato da una ritmica sostenuta.
Immagina una sorta di fuga automobilistica del protagonista che è allo stesso
tempo metafora e intreccio a una storia d'amore soffocante e che lo obbliga
dolorosamente ad andarsene lontano, facendo leva più sull'orgoglio dell'uomo che
sulla reale volontà dell'amante. Mentre i sensi sono concentrati sulla strada e
sull'ambiente circostante, il pensiero è angosciosamente occupato a domandarsi
le ragioni di un fallimento sentimentale destinato a produrre cicatrici
indelebili. Grazie alla sua straordinaria vivacità e alla prorompente vitalità,
questa è una delle canzoni che hanno reiteratamente goduto di un intramontabile
successo nelle esibizioni dal vivo proposte nel corso degli anni: Via è stata
infatti quasi sempre presentata nel corso dei concerti e delle tournée
successive ed è entrata da subito e a pieno titolo a far parte del repertorio
storico.
|
• |
Si è dunque parlato di un Baglioni
sopraggiunto a maturazione artistica definitiva, un traguardo conseguito anche e
presumibilmente per la consapevolezza di possedere ormai un suo pubblico, di non
avere alcunché da dimostrare e, forse, anche di aver smesso di "soffrire" per le
aspre critiche di chi gli rimprovera l'incapacità di trattare argomenti diversi
da quelli amorosi: si spiega evidentemente con questa presunta "rilassatezza
professionale" la volontà di misurarsi con tematiche sociali approfondite e, per
certi versi, anche spinose. Certo è che, quando i microsolchi del nuovo ellepì
liberano le note e le parole de I vecchi, viene da chiedersi il motivo
per il quale Claudio abbia così a lungo atteso prima di cimentarsi in questa
gara con se stesso: la sintesi del suo consueto lirismo, della nuova voglia di
approfondire, della capacità di raccontare e della rinnovata ispirazione trovano
adeguato sbocco in questo capolavoro musicale che tradisce una notevolissima
partecipazione dell'autore e che regala all'ascoltatore attonito e sorpreso una
preziosissima eredità di improvvisa amarezza mescolata a successiva commozione.
Il mondo degli anziani viene raccontato con una semplicità disarmante,
verosimile e spietata: non c'è spazio per la conciliazione di sentimentalismi ma
viene fatto, piuttosto, un sorprendente atto di denuncia verso un mondo sordo
alle esigenze e alle prospettive della terza età: i vecchi sono quelli da
"chiudere in cucina quando viene qualcuno", sono "quelli che non li vuole
nessuno", sono anime "da buttare via": davvero uno schiaffo al lassismo non solo
delle istituzioni, ma anche a quello forse più cinico e oscuro di matrice
familiare. Claudio sottolinea, rinvigorisce, amplifica e tratteggia, con lo
strumento della sua voce straordinaria, i momenti da evidenziare, riuscendo a
creare, oltre che con musica e parole, anche attraverso un'interpretazione
sublime, un'atmosfera di coinvolgimento e di assoluta emozione. Le introduzioni
di pianoforte, quelle della chitarra e soprattutto l'ingresso catalizzante degli
archi definiscono compiutamente il contorno della melodia che si assesta
perfettamente sul telaio del testo, esaltandone le già notevolissime sfumature e
contribuendo a renderlo, a detta di molti, uno dei pezzi migliori di tutta la
musica leggera italiana.
|
• |
Dopo Due, il secondo frammento
voce e chitarra il cui soggetto principale è il periodo delle "vacanze umbre",
la sequenza cronologica propone un pezzo di chiara espressione allegra. Come per
I vecchi, evidente brano impressionista in cui l'argomento è trattato da
un punto di vista strettamente personale, anche Notti è affresco che, pur
contrassegnato da tinte vivaci, rimarca una dimensione peculiarmente intima. Nel
senso che esso raffigura situazioni e classiche tipologie da poter vivere in una
notte "da svegli" che possono sì essere adattate a ciascuno, ma che partono da
esperienze prettamente individuali. Notti è una canzone che si dispiega
piacevolmente tra amplificazioni di batteria e note di chitarra e allinea un
argomento che, nella sua semplicità, rivela caratteri molto originali. Essa è,
di fatto, una sorta di elogio della notte, una rivelazione al mondo diurno circa
l'esistenza di una dimensione parallela e sinuosa, capace di regalare con le sue
creature, i suoi luoghi improvvisamente diversi e la magia delle sue alchimie lo
spazio intenso e difficilmente rintracciabile dell'emozione.
|
• |
Era presumibilmente dai tempi lontani
del suo entusiasmante tour polacco che Baglioni aveva in mente di descrivere, in
qualche maniera, quella lontana realtà orientale che tanto l'aveva colpito.
Significativo che lo faccia proprio ora, forse perché non più preoccupato di
eventuali fallimenti artistici, o forse perché spaventato dalla greve minaccia
di questi anni che, dal punto di vista dei rapporti diplomatici tra Est e Ovest,
si presentano molto critici e costituiscono grave attualità. Certo è davvero
inedita la strada che viene indicata per trattare l'argomento: nella
composizione non figurano rivendicazioni dirette di carattere sociale e neppure
implicazioni di matrice politica; a caratterizzare Ragazze dell'est è
piuttosto una poesia dilagante, rappresentata dal succedersi di immagini che si
sovrappongono e che riescono a creare un racconto fatto di brevi episodi di
quotidiano: essi definiscono, tuttavia, un quadro d'assieme assolutamente
compiuto e capace di rivestire la narrazione di molteplici significati e
svariate implicazioni. Pur trattandosi di un pezzo dalle numerose sfaccettature,
esso è denunciato come "semplice testimonianza visiva" dallo stesso autore, che
rivendica reiteratamente questo aspetto: "io le ho viste portare fiori e poi
fuggire via", "le ho viste nelle sere quando son chiuse le fabbriche e le vie", "le ho viste far la fila con
impazienza davanti ai gelatai", ecc. Nonostante questa assicurazione,
l'interlocutore viene comunque suggestionato dall'aura di malinconica
solidarietà che traspare dal brano e che viene messa in risalto, oltre che da un
testo davvero ispiratissimo, anche dall'incedere avvolgente delle inebrianti
note istruite dal pianoforte.
|
• |
Se quest'album lascia, come si è
largamente ripetuto, una parte preponderante all'elemento autobiografico
cercando al contempo di adattargli il carattere della generalità, la sua
traccia–guida, Strada facendo, diviene sintesi "summa" di questa
filosofia: essa è infatti sottolineata da continui riferimenti alle sensazioni
intime del cantautore, in cui sono comunque riscontrabili stati d'animo fra i
più comuni. Il brano è metafora della vita, o meglio, di quell'"ars vivendi"
nella quale l'uomo è costretto a barcamenarsi per cercare di trovare il maggior
sollievo possibile: e la strada da fare, il sentiero meno impervio per
giungervi, è quello di cercare un'alleanza con gli altri, di unirsi in un
"canto" univoco che possa "far andare avanti e dire che non è finita", nonché
aiutarsi a costruire un domani migliore: la musica è contingente proprio a
quest'ultima argomentazione, poiché diviene, nel ritornello, entusiasmante,
coinvolgente e incalzante, invitando a unirsi a un incessante coro che cresce
costantemente d'intensità. Batteria, pianoforte, basso, chitarre e organo si
intrecciano in giri armonici di notevole efficacia e contribuiscono
indubbiamente alla buona riuscita del pezzo. Definito come il primo degli inni
baglioniani, questo brano si impone come uno dei più apprezzati dell'album e
insidierà, per popolarità conquistata, nientemeno che il primato fin qui
inattaccabile di Questo piccolo grande amore.
|
• |
A Strada facendo seguono,
nell'ordine, il frammento Tre cui tocca di descrivere il periodo della
giovinezza e quella che si può definire come la prima vera canzone "d'amore
classico" dell'album: Fotografie. Se infatti Via palesava un
incedere ritmico divergente da quello usualmente in voga nelle composizioni
amorose, questo pezzo sembra invece ripresentare melodie classiche con le quali
descrivere una tipica situazione sentimentale. Davvero particolare anche il
tessuto della trama che trae spunto, molto curiosamente, proprio da quella
maniera formale e tipicamente baglioniana di strutturare i testi: quello per
successione d'immagini, per istantanee. Il brano è infatti articolato sulla
rievocazione di una storia che si snoda nella memoria attraverso le fotografie:
da quelle che immortalano spensieratezze amorose e che sono colorate dalle tinte
estive di un paesaggio sempre coprotagonista della vicenda, passando attraverso
quelle scolorite di un autunno che si approssima minaccioso non solo
meteorologicamente, fino ad arrivare a quelle ultime, in bianco e nero, che
annunciano, in una gelida cornice invernale, l'ennesimo, drammatico e angoscioso
inevitabile addio. A descrivere le stagioni che si succedono si alternano,
virtuosamente, gli strumenti adoperati: dalla chitarra acustica al pianoforte,
ai sintetizzatori, al basso, alla batteria. Una struggente partitura d'archi
descrive un immediatamente successivo tema strumentale che sottolinea
arrangiamenti leggermente discostanti da quelli del pezzo cantato.
|
• |
Anche la melodica Ora che ho te
ha toni e caratteristiche da canzone d'amore classica, anche se forse manca un
po' di quell'originalità che caratterizza il pezzo che la anticipa. È tuttavia
notevolissima la sinfonia che scandisce il brano, composta oltre che dalle
solite chitarre acustiche, bassi, batterie e pianoforte, anche dall'ingresso
suggestivo dell'organo, il quale dà un corpo identificativo alla canzone stessa
e ne sancisce il decollo definitivo.
|
• |
Con Quattro e il resoconto
della prima adolescenza termina la traccia autobiografica "solo voce e
chitarra"; un tema lasciato evidentemente e volutamente in sospeso nella
promessa di un recupero successivo. La conclusione dell'opera è riservata a un
saluto beneaugurante, una Buona fortuna riversata
non solo sugli interlocutori ma anche verso se stesso, nell'attesa che quel
domani tanto atteso e temuto per via della sua impossibile governabilità possa
essere, comunque, sempre migliore. Quest'ultimo brano è scandito dalle armonie
dei soli pianoforte e sintetizzatori.
|
All'uscita del 33 non si
accompagna, stavolta, alcuna pubblicazione in 45 giri. Tale situazione non
deriva da una particolare mancanza, ma è dovuta alla volontà, da parte della
produzione e dell'artista, di porre il dovuto accento sull'omogeneità dell'opera
tutta.
Il successo del disco, pur se
previsto, assume proporzioni clamorose: in pochi giorni l'album polverizza le
150.000 copie e balza in testa alle classifiche di vendita e di ascolto. Strada
facendo diviene il leitmotiv dell'estate 1981 e le radio la ritrasmettono
incessantemente. Nell'autunno dell'81 Baglioni riceve, al
Palasport di Bologna e
nel corso della rassegna canora Vota la voce, il Telegatto d'Argento quale
miglior cantante dell'anno, votato da migliaia di lettori del settimanale TV
Sorrisi e canzoni. Riceve inoltre il disco d'oro, adeguato coronamento ai
record di un disco che, già nei primi mesi del 1982, enumera qualcosa come
500.000 copie vendute! Se in precedenza Claudio era uno dei cantautori italiani
di maggior successo, è ora divenuto, senza dubbio, la figura più importante del
panorama musicale nostrano. Persino quella parte di critica mai benevola con le
sue precedenti elaborazioni elargisce ora giudizi meno pregiudiziali, arrivando
anche, in svariati casi, a esaltarne e incensarne la nuova produzione.
A testimonianza di quanto appena sottolineato si aggiunga pure, alla fine di
quello stesso 1981, la consegna del premio istituito dall'Associazione Critici
Discografici, che gli riconosce addirittura la qualifica di Miglior cantautore
per quello stesso, fortunatissimo anno.
|