Quella sua maglietta fina
Oggi bastano probabilmente queste prime quattro parole per avviare milioni di
persone, all'unisono, verso il testo e le note successive: anche quelli che
infatti non amano il suo autore o, più in generale, questo genere di musica,
sono stati loro malgrado "costretti" prima o poi ad ascoltare l'incedere
avvolgente e sensuale del testo e della melodia in questione. Troppo popolare,
troppo onnipresente questo motivo perché se ne resti indifferenti. Ma come
succede che improvvisamente, un cantore senza riscontro di alcun tipo diventi in
pochi giorni autore di un brano fra i più famosi del nostro paese, musica senza
tempo, canzone del secolo? Come accade che l'anatroccolo-cantastorie incapace di
un pur minimo successo sino a quel momento divenga improvvisamente il "cigno"
Claudio Baglioni? Cerchiamo dunque di andarlo a capire...
Prima della sua "fuga polacca", il nostro stava lavorando a un progetto
vagheggiato da tempo: quello di realizzare un lavoro che contenesse il suo stato
d'animo, le sue passioni, le sue voglie, ma che sapesse al contempo
rappresentare l'universalità del mondo giovanile, ancora sensibile, malgrado
tutto, alla rappresentazione dei sentimenti. Egli intuisce che, per realizzare
questa prospettiva, per arrivare al "cuore delle gente", occorre qualcosa di
"romanzesco", una storia che abbia un inizio e una fine; non ha ancora chiaro
quale dovrà essere l'impianto narrativo che servirà da contenitore per tale
progetto e neppure la forma che dovrà assumere; tuttavia inizia a comporre
febbrilmente i primi accordi e, poco prima della sua partenza, ne ultima quasi
totalmente la stesura.
Il ritorno dall'est è tuttavia poco
felice: si reca ad assistere al Festival dell'Avanguardia a Roma, dove si
esibiscono alcuni cantanti che vogliono salire alla ribalta. Nonostante la
presenza di notevoli "nuove voci", che riusciranno anche a trovare il successo
(Banco del Mutuo Soccorso, Alan Sorrenti), il pubblico si comporta in maniera
davvero becera. Memore dell'esaltante avventura polacca e dei toni soffusi e
rispettosi con cui quei lontani spettatori seguivano la performance
dell'artista, Baglioni ha un ulteriore momento di rigetto verso l'ambiente
musicale del nostro paese, ancora così lontano, per certi versi, da quello
appena visitato.
Decide allora di rivolgere il suo interesse, almeno per un certo periodo di
tempo, ai suoi bistrattati studi di architettura, rinfocolando la sua tenue
passione per quell'argomento. È tuttavia una decisione che dura lo spazio di un
tempo brevissimo perché, grazie ancora alle insistenze reiterate dei suoi
collaboratori e nella fattispecie a quelle diplomatiche ma decise dell'amico
musicista Toto Torquati, il nostro "riprende la chitarra in una mano e utilizza
sul pianoforte le dita dell'altra" per porre termine al lavoro iniziato tempo
prima.
Grazie anche all'esperienza
maturata in Polonia dalla quale ha intuito la strada della chiarezza, Claudio
attribuisce all'impianto narrativo che aveva teorizzato come necessario per
catturare l'attenzione degli interlocutori la connotazione della classica storia
amorosa, mentre, per quanto attiene alla forma di espressione, una volta
abbandonata l'idea del musical e della commedia musicale, si rivolge verso la
quasi inesplorata strada del concept album.
In brevissimo tempo le parole si aggiungono alle musiche, il blocco degli
appunti si sovrappone al pentagramma. Leggenda vuole che nell'arco di poco più
di una settimana sia tutto definito, missato e pronto per "dare alle stampe".
Il risultato ottenuto appare al
produttore Antonio Coggio, all'arrangiatore Tony Mimms e all'ingegnere del suono
Franco Finetti di buona fattura e d'immediata intuizione: se infatti nelle
esperienze dei dischi precedenti la molteplicità degli stili aveva creato
confusione alimentando ermetici velleitarismi, qui, anche grazie all'artifizio
della "storia a puntate", essa si evolve sino a diventare vezzo formale.
La trama, come detto, è semplice e
quasi sfiora la banalità: racconta di due giovani che, dopo essersi conosciuti
in maniera casuale, finiscono per innamorarsi perdutamente sino a giurarsi un
illusorio amore eterno che invece durerà il breve spazio di una stagione.
Ma sono certamente il contenuto musicale e l'adattamento narrativo, piuttosto
che la suddetta trama, a costituire l'elemento vincente.
Ecco allora dipanarsi, una a una,
le melodie e i testi che costituiscono il nuovo album; dalle tecniche antiche
mutuate dagli stornelli presi dalla strada e che caratterizzano una sorta di
intermezzo "solo voce" del protagonista, al "recitativo – cantato" ispirato al
melodramma di Che begli amici dove spicca la citazione classica del coro,
tipico della tragedia greca; dalla intermittente Mia libertà, che assume
l'adagio della ballata, agli sconfinamenti country di Porta Portese,
pittoresco e calzante affresco popolare di quartiere; dalle tecniche classiche,
introdotte dall'organo da chiesa adoperato per Quel giorno, alle chitarre
acustiche di Io ti prendo come mia sposa, composta durante il volontario
esilio polacco e non priva di riferimenti "francescani", presumibilmente
acquisiti sul set di "Fratello sole, sorella luna"; dal profilo armonico di
Quanto ti voglio e Con tutto l'amore che posso, veri e propri intrecci di
racconto nel racconto, al dialogo quasi didascalico di Battibecco, reso
particolare dalla voce suadente dell'allora dilettante Paola Massari, voluta
fortemente, proprio in quanto tale, dall'autore del brano.
Insomma, una miscellanea di colorazioni che, anche grazie all'apporto del jazz,
del rock e persino del blues, contribuiscono a dare vigore cromatico
all'insieme.
Da segnalare anche che le canzoni Piazza del Popolo e Cartolina rosa hanno
lo stesso tema, pur con diversi elementi; medesimi accordi anche per Con tutto
l'amore che posso e la coda orchestrale posta a chiusura dell'album, nonché per
Una faccia pulita e Sembra il primo giorno; quest'ultimo brano si richiama
al primo (e musicalmente anche a La prima volta), quasi a voler chiudere il cerchio in una sorta di parabola discendente
che richiama l'adagio letterario-filosofico degli opposti amore e morte.
Discorso a parte merita,
ovviamente, la canzone trainante: Questo piccolo grande amore. Essa è figlia
di un brano precedentemente composto e mai pubblicato: quella Ci fosse lei il
cui telaio armonico è tuttora presente nel 33 giri e che costituisce il tema
del treno. Di questa traccia, in quella che noi oggi ascoltiamo come la
versione "ufficiale", non è rimasto che il ritornello, anche se, data la
composizione metrica anomala, sarebbe improprio definire tale il frammento che
costituisce il refrain "lei era un piccolo grande amore solo un piccolo grande
amore", ecc. Fatto sta che, dopo rielaborazioni plurime, aggiunte e sottrazioni
armoniche, giri di accordi capovolti e altri espedienti tipicamente tecnici, si
giunge alla versione classica, ridondante di efficacissimo sentimento romantico
e di grande respiro melodico.
Questo piccolo grande amore è, nei ricordi quasi annebbiati del protagonista,
il culmine e contemporaneamente il riassunto dell'intera vicenda,
l'idealizzazione più classica dell'amore adolescente, l'iconografia della
passione amorosa. Forse proprio in questa caratterizzazione così perfetta e
standardizzata risiede la ragione del grande successo e di quel fascino che,
anche a distanza di trent'anni, QPGA, come essa viene ormai affettuosamente
sintetizzata, riesce ancora a esercitare sugli ascoltatori.
Prima ancora che la struttura
completa della produzione fosse definita, la RCA decide frettolosamente di
pubblicare un 45 giri come "assaggio" del prossimo ellepì.
Viene addirittura proposto di relegare Questo piccolo grande amore alla
facciata B del disco poiché alcuni dirigenti della casa discografica la
configurano solo come "accompagnamento" a un "brano-cardine" che, nelle loro
intenzioni, deve essere invece di fattura diversa. In realtà essa è
successivamente promossa al rango di canzone principale, mentre appare piuttosto
singolare la scelta della canzone da affiancarle: Claudio ricicla un vecchia
melodia, Kalambala, il cui testo rivelava una sorta di eden esclusivo e
decorato d'ambientazioni hippie, per inserirci una tematica completamente
diversa, sfumata sull'impegno e sulla protesta sociale. Il titolo di questo
pezzo diventa Caro padrone. A
questo proposito si ipotizza che il cantante abbia voluto inserire quest'ultima
traccia per "vendicarsi" dello screzio fattogli dai dirigenti della casa
discografica, rei di avergli tagliato In viaggio che avrebbe dovuto essere
inserita all'inizio del 33, immediatamente prima di Piazza del Popolo.
Tuttavia, nel successivo 45 giri (QPGA – Porta Portese), che sancisce il
ritiro della prima frettolosa edizione, anche Caro padrone finisce per essere
eliminata.
Un'altra nota interessante da rimarcare è quella riferibile al controverso nome
da attribuire al disco.
In origine il titolo avrebbe dovuto essere Con tutto l'amore che posso.
Successivamente però, visto l'impatto di ampio respiro della canzone cardine, si
decide per Piccolo grande amore. Solo all'ultimo momento viene aggiunto
l'aggettivo "questo" per due motivi principali: il primo di ordine commerciale e
legato a questioni di copyright, in quanto, a pochi giorni dall'uscita, un
collaboratore di produzione aveva scorto sullo scaffale di una libreria un
volume dal titolo "Piccolo grande amore"; il secondo di ordine invece
squisitamente scaramantico: il titolo avrebbe dovuto essere composto da quattro
parole, perché quattro erano i promotori principali dell'iniziativa discografica
(Baglioni, Coggio, Mimms, Finetti) e il numero avrebbe portato fortuna.
Il 30 settembre 1972 Claudio
Baglioni è libero finalmente di dedicarsi ai suoi studi d'architetto, perché il
lavoro è ormai definito.
Anche la copertina, curata da Pompeo de Angelis, è ultimata e stampata.
Il giorno seguente, primo ottobre, viene pubblicato dalle edizioni RCA il 33
giri Questo piccolo grande amore.
A distanza di tre settimane, il disco scala vertiginosamente la hit parade
italiana, attestandosi al terzo posto; la settimana ancora successiva esso
guadagna, clamorosamente, la testa della classifica; l'album vende 150.000
copie, il singolo più di 800.000; la canzone dall'omonimo album è la più
"passata" dalle stazioni radio italiane; il suo autore è diventato, da un giorno
all'altro, un fenomeno osannato della musica leggera nostrana, e si è ormai
trasformato, suo malgrado, in un affascinante personaggio pubblico.
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