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del 29/11/95

Famiglia Cristiana
Per registrare un album impiega anni, curando ogni dettaglio con attenzione maniacale. Va poco in tv, concede rare interviste. Il segreto? "Canto le emozioni"

"Canto le emozioni"

di Piero Negri

Dice di essersene andato a "lavare i panni dagli inganni del successo". Assicura di "aver viaggiato come Cristoforo Colombo, navigando a vista fino alla terraferma". Ora è tornato, dimostrando di essere ancora il più amato dagli italiani. E confessando che del suo disco non ha capito quasi nulla.


Può capitare ancora d'incontrarlo, la sera tardi, in uno di quei frammenti di televisione in bianco e nero che Raitre trasmette tra un programma e l'altro. E' lui, inconfondibile, occhialuto e timido. Seduto in mezzo al pubblico, canta Signora Lia, storia di una lacerante infedeltà coniugale sullo sfondo di una Roma popolana e insoddisfatta. Da allora, e sono quasi trent'anni, Claudio Baglioni è cambiato non poco, non solo nell'aspetto e non solo perché non porta più gli occhiali.
"Come i due Dumas, c'è un Baglioni padre e un Baglioni figlio", commenta, aggiustando subito il tiro: "è passato tanto di quel tempo, sarebbe strano che quel contrasto non si notasse". In questi anni, il geometra di Centocelle, ora quarantaquattrenne, ha volato alto nel cielo della musica leggera nazionale: dagli inizi difficili ai milioni di dischi venduti, dalle difficoltà psicologiche delle prime esibizioni pubbliche ai bagni di folla degli anni Ottanta, la sua vicenda umana e artistica è punteggiata da successi ormai entrati nella memoria collettiva degli italiani.
Come interpretare, allora, la confessione che apre il nuovo disco Io sono qui ("Dove sono stato in tutti questi anni? Io me ne ero andato a lavarmi i panni dagli inganni del successo, a riscoprirmi uomo, io sempre lo stesso, più grigio ma non domo")? A che cosa credere, a questo prologo oppure alla conclusione dello stesso disco ("Non so più davvero se è tutto bello o tutto brutto, quanto c'è di sincero e quanto ho fatto il farabutto")? Il pubblico una risposta ce l'ha, se, a due mesi dall'uscita nei negozi, Io sono qui ha già venduto mezzo milione di copie e tiene saldamente la testa dell'hit parade.

Allora, geometra Baglioni, è stato più uomo o più farabutto?
"In tutta sincerità, non lo so. So, però, che lasciare indefinito il percorso è l'unica speranza per avere ancora strada da fare. In queste canzoni si muovono anime diverse, anche in senso musicale, e poiché al centro di tutto ci sono le emozioni non è semplice identificarle tutte. Ho talmente analizzato ogni aspetto del disco che credo di non aver capito quasi nulla. L'ho ascoltato per intero una volta sola e confermo: questo album non lo capisco. E forse è una fortuna".

Ancora una volta ha impiegato anni di lavoro per realizzare un disco: da dove nasce questa cura quasi maniacale dei dettagli?
"Non c'è un progetto alle spalle. Dopo il sofferto Oltre pensavo a un lavoro più semplice e breve. Invece, mano mano che aggiungevo temi e idee mi rendevo conto che stavo partendo per un viaggio senza sapere davvero dove stavo andando. Ci siamo sentiti come l'equipaggio di Cristoforo Colombo, abbiamo continuato a navigare a vista fino a quando non abbiamo messo piede sulla terraferma. Anche perché è difficile staccarsi da un lavoro così: è una ricerca, un'esplorazione senza mappa alla quale finisci per affezionarti, per la quale provi quasi tenerezza".

Oltre, il disco precedente, aveva diviso gli ammiratori e sorpreso i critici: come lo giudica ora?
"Forse era troppo pieno, troppo denso, ma proprio per questo chi ha avuto la pazienza di dedicargli tempo ora lo ama più di ogni altro mio disco. Ecco, era un album che richiedeva impegno. In un momento in cui tutto scorre e niente è nuovo, fermarsi ad ascoltare è un valore che mi sembra importante".

"Io spero in Dio sempre di più, è l'unico quaggiù che ancora alla Tv non è mai apparso", canta in V.O.T.: che rapporto ha con la televisione, considerando anche il fatto che non ne ha fatta molta, ultimamente?
"Con quella sua violenta capacità di entrare nelle vite di noi tutti, la Tv esercita su di me un fascino perverso. Non sono contro la Tv, naturalmente, ma mi chiedo spesso qual è il confine tra verità e menzogna. E mi rispondo che in Tv di verità ce n'è poca. Quelli che fanno il mio mestiere, poi, davanti alle telecamere hanno il problema di fare qualcosa di parallelo a ciò che si tenta di dire con le canzoni: essere davvero sé stessi è impossibile, ma almeno è necessario cercare di non cadere in contraddizione. Forse la soluzione è affrontare con minore seriosità, con più ironia, quella scatola che amplifica ogni cosa. Ma non è per nulla facile".

"L'unica paura che resta del futuro è non esserci", canta in Io sono qui: è l'ottimismo della ragione o quello della speranza?
"È l'ottimismo dell'emozione. Sei mesi fa ero molto meno tranquillo. Ora, avendo concluso un viaggio, mi sento più fiducioso nei confronti del futuro. Fidarsi delle emozioni, del resto, mi sembra l'unica via d'uscita: guardare dentro sé stessi, dentro le proprie azioni, non perdere la memoria".

Ha festeggiato l'uscita del disco suonando gratuitamente in luoghi inconsueti: alla marcia della pace di Assisi, in una caserma, in piazza del Campo a Siena, in un campo vicino a Norcia. È il desiderio di sfuggire al rituale del concerto?
"È la voglia di essere un po' cialtroni che si sente prepotente al termine di un lavoro così preciso e rigoroso. Da un po' di tempo in qua mi è venuta la voglia di assaggiare tutto, di provare tutto ciò che mi viene in mente. Confesso che una decina d'anni fa mi prendevo molto sul serio, in termini quasi eroici. Devo fare ciò che non ha mai fatto nessuno, mi dicevo, ed ecco che mi inventavo una tournée in cui ero da solo sul palcoscenico, o diventavo il primo a cantare dal vivo a Sanremo. Oggi sono più rilassato".

Come vede oggi il rapporto tra musica e politica?
"Sono contento di non essermi mai schierato apertamente, sono orgoglioso di non dover ringraziare nessuno per i privilegi che il mio lavoro mi ha concesso. Chi ha un pubblico davanti deve essere sempre una sentinella contro il potere, di qualunque colore esso sia. Può essere impegnato direttamente, ma non deve mai diventare il piede di porco con il quale aprire porte altrimenti chiuse".

Come si sente, allora, in quest'Italia così confusa?
"Confusa? Direi di più: si sentono tanti di quegli stridori, note dissonanti, che è difficile capirci qualcosa. Siamo abituati a esser sudditi, non cittadini, abbiamo una scarsa cultura del rapporto: l'Italia è un Paese diffidente che non ha affetto per i suoi aspetti migliori e che partorisce finti grandi uomini. Sembra un paradosso, ma il Paese è molto migliore di chi lo comanda. Esistono realtà apparentemente marginali che sono vitali e mi danno speranza: il volontariato, ad esempio, spesso disprezzato in nome del culto per i vincitori, per i più forti. L'Italia, infine, ha il grande problema di risolvere le questioni del passato, le domande che non hanno mai trovato una risposta: chi ha messo le bombe nelle banche o sui treni?".

Spesso parla di un "club dei 100" che è quello che fa opinione in Italia e che viene intervistato da stampa e Tv: ha preso qualche contromisura per non entrarvi?
"Quando ho la sensazione che qualcuno mi voglia iscrivere nel club, mi ritiro. Le mie opinioni sono nelle cose che faccio, nelle canzoni che canto e scrivo. In fondo, però, non mi interpellano spesso. Buon segno. O no?".


Articolo segnalato da Antonio.