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del 20/09/85
La Repubblica
I Big delle tournées estive: incontro con Claudio Baglioni alla vigilia del concerto romano allo stadio Flaminio trasmesso oggi in diretta da RaiUno
La Vita? Non è solo LP
Un disco da mezzo milione di copie
di Laura Putti
Roma - Scena Prima. Esterno. Stadio Flaminio. Gran tappeto d'erba, sole splendente, un via vai continuo di amici e musicisti, tecnici e operai che in questo momento stanno montando il palco sul quale Claudio Baglioni canterà le ultime canzoni della sua tournée estiva. Per la prima volta la Rai riprenderà in diretta (stasera) un concerto di un cantautore italiano e lo manderà in onda sulla rete Uno a partire dalle 21,30. Perché proprio a Baglioni è toccato il privilegio della prima volta? La risposta non è difficile: perché in questo momento Baglioni è il primo, perché quasi un milione di persone lo ha ascoltato nel corso della sua tournée estiva, perché il suo ultimo disco La vita è adesso ha già venduto più di mezzo milione di copie. La Rai le sue dirette le organizza conti alla mano. E poi il Flaminio! Il Coni non lo ha concesso neanche a Springsteen. E Baglioni, l'ingrato, non indossa neanche delle scarpe da ginnastica per camminare sul prato lucente. In compenso ha ai piedi lucidissimi mocassini e quel vestito "principe di Galles" lo rende un po' più "serio" meno "adolescente".
"Il successo? E' molto importante viverlo bene. Il successo stringe gli spazi, limita la nostra libertà. Anche perché fa ritornare bambini, con tutte le paure che hanno i bambini di perdere un bene prezioso. E poi il successo nevrotizza, ti fa vedere in cifre il tuo lavoro. Ieri in questo stadio c'erano quarantamila persona; oggi sono solo trentanovemilanovecentonovantanove. Oddio, perché ne manca uno? E poi sei costretto a dire a te stesso che quella persona non è potuta venire ad ascoltarti perché si è sentita male quella sera, perché gli si è rotta la macchina. Stare dietro alle cifre fa male, è un suicidio artistico".
Lei invece alla sua pelle ha sempre tenuto molto, ha cantato la vita, l'amore, l'angoscia della vecchiaia; ma il credere così fortemente a dei sentimenti universali, continuare cioè a cantare la vita in un certo modo, presuppone delle certezze, delle sicurezze, una stabilità quasi fuori del comune.
"La sicurezza è un bene che può valere cento lire o un miliardo. Cento lire perché le sicurezze assolute, le certezze assolute sono illusioni: però possono valere miliardi perché siamo un po' tutti alla ricerca della stabilità. Io so che alla fine do una certa immagine di me stesso, ma non è detto che io sia sempre così. Credo che l'opera di una persona non sia la persona stessa, sarebbe impossibile. Chi è che riesce a descrivere completamente se stesso attraverso le sue canzoni o le sue parole? Ma per fortuna! Se noi fossimo le nostre opere saremmo davvero ben poco. Io so che alla fine cerco di dare nelle mia canzoni un'idea o una chiave per leggere la vita in una certa maniera, che poi non mi sembra sempre e comunque tranquillizzante, anzi credo che buona parte delle mie canzoni poi non lo siano assolutamente".
Ma il suo personaggio, quello che si è creato in più di quindici anni di carriera, è un personaggio tranquillo.
"Quali sono alla fine i personaggi realmente disperati del nostro mondo musicale? Attenzione alle etichette, non è detto che la trasgressione abiti dove sembra. Io non sono uno tranquillo, lo dimostra il mio mestiere e il fatto che faccio un disco ogni tre o quattro anni. Chi mi conosce questo lo sa".
Severo e molto professionale. Così lo dipingono infatti coloro che lo hanno accompagnato nella tournée estiva. Non un momento di respiro: il pomeriggio prove, la sera il concerto, la mattina dopo ascolto accurato del nastro registrato, assieme a Pasquale Minieri, musicista e addetto al mixer. Perché la sera dopo tutto deve essere meglio di quella prima.
Claudio Baglioni ama molto il suo lavoro?
"Intanto non è un lavoro. Semmai è un mestiere. Un lavoro ha orari, presuppone l'acquisizione di discipline, un lavoro ha delle scadenze. Nel mestiere invece deve esserci talento ed alle volte anche genio. Io il mio mestiere cerco di viverlo ancora in modo artigianale, sebbene oggi le dimensioni si siano diabolicamente allargate; però io conosco fino all'ultimo chiodo di questo palcoscenico, lo conosco come chi lo ha montato".
Questo forse si chiama professionismo.
"Professionismo alle volte diventa cinismo; io certe sere sono anche non professionista, mi annoio, non mi va di salire sul palco. Poi però ho troppo rispetto per il mio pubblico che alla fine diventa rispetto di me stesso. Anche fare un disco mi costa fatica, mi riempie di ansie ed è per questo che lascio passare qualche anno tra un album e l'altro. Chi mi avesse visto un mese prima dell'uscita di La vita è adesso mi avrebbe raccolto, portato a casa sua ed adottato. Ero devastato dall'ansia, dalla depressione".
Eppure non sembra...
"L'importante è questo. Odio chi si sbrodola completamente in pubblico e dà in pasto la propria disperazione o anche la propria euforia. Detesto gli esibizionismi".
Ma una canzone nasce da uno stato d'animo; qual è lo stato d'animo che la conduce a un pianoforte per comporre un nuovo pezzo?
"In realtà non esiste per me uno stato d'animo specifico. Io non smetto mai di pensare ad una canzone, ad una musica, ho sempre tutto in testa; non compongo mai un brano ispirato ad un solo fatto, è come se avessi un grande armadio della memoria. Poi ad un certo punto ti senti pronto ad andare in sala di registrazione".
C'è stato un momento nella sua storia artistica in cui ha deciso di cambiare?
"All'inizio ho dovuto cambiare, è stato uno sforzo che ho fatto per farmi capire. Scrivevo testi assurdi, storie tristi. C'è chi dice che in quel periodo, parlo dell'inizio degli anni Settanta, portassi anche male tanto ero triste. Poi sono stato in Polonia per due mesi ed è stata una grande esperienza, la mia vita è cambiata sia dal punto di vista umano che dal punto di vista professionale. Sono tornato in Italia, era il 1972, ed avevo una gran voglia di raccontare a tutti quello che avevo vissuto durante il mio viaggio. Volevo che tutti capissero; e se davvero lo volevo, dovevo scriverlo in modo chiaro. L'ho fatto ed è nata Questo piccolo grande amore. Che il Festival di Sanremo dell'anno scorso ha decretato essere la "canzone del secolo". Ma io da grande non voglio fare il cantante ed anche come autore ho poche speranze: sono quello che riceve meno diritti Siae per l'esecuzione dei suoi brani, pare che la 'vocalità' delle mie canzoni sia assai difficile da eseguire".
Se non farà il cantante cosa farà?
"Non lo so, quel tempo è ancora lontano. Oggi quando non faccio il cantante faccio il padre (suo figlio Giovanni ha già tre anni, n.d.r.), leggo, anzi, rileggo molto, vado in vacanza, cosa che pero accade assai di rado".
Alle volte non si sente un po' prigioniero del suo personaggio di bravo ragazzo attaccato alla famiglia, di uno che ha deciso di restare per sempre giovane?
"Alle volte sì, ma questo è un bene; sentirsi a disagio aiuta a reagire. Spesso mi ribello a questa immagine che mi ha appiccicato addosso gente che non si è accorta che da quindici anni a questa parte sono cambiato, che sono cresciuto".
Articolo segnalato da Annamaria.