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del 24/02/84
Il Messaggero
La musica è cultura anche senza frak
di Claudio Baglioni
Martedì l'ho passato seduto nella sala-convegni di un albergo romano. Era pure bel tempo. Mentre dentro un soffitto a quadretti di neon che fa tutti malati, qualcuno che pennica (ogni tanto gli cade la testa, si sveglia e fa subito cenno di sì, approvando il discorso) e bottiglie dell'acqua per schiarire la gola e parlare di musica in crisi. Di dischi che si vendono meno, di industria al collasso, di leggi carenti e di tasse sbagliate, di copie private e pirate, di autori più bravi e cantanti più buoni, di portare
fuori la musica nostra. Insomma, roba di cui sento parlare, ancora senza rimedi, da un bel po' di tempo. E giù relazioni di tecnici ed esperti, governanti e politici e sindacalisti, sovrintendenti di teatri dell'opera e discografici affranti (adesso che e' tempo di riforme e revisioni e molti si pentono, chissà se arriveremo a vedere un "discografico pentito"!). Due cose le ho dette anche io. Tra i presenti, sbigottiti e sorpresi, (facce alla “Lazzaro, alzati e vai") dalla meraviglia - sensazionale!!! - di un
cantante che parla. Annoto che la mia categoria gode di grande considerazione. E parlo di musica, quella leggera. E dico che solo in Italia la musica popolare la si chiama così. Con questo aggettivo più consono a diete e a problemi di stomaco. E, mentre parlo, rammento una sera, quindici anni più indietro. Scritturato per cantare e suonare, insieme a Giorgio Bracardi, a un matrimonio di notabili e nobili con rinfresco (si fa proprio per dire) in un castello un po' fuori Roma che a me sembrò fuori dal mondo. Mi ricordo di noi che entriamo, errori cromatici, sfilando lui in abito grigio e io in un abito verde, ambedue da passeggio, in mezzo a tight, frack e smoking, decoltès e altre cose da sera. Anche in questo convegno, in mezzo a tanto parlare di musica colta e musica seria, a me sembra tuttora di avere il mio abito verde (per la cronaca verde bottiglia). Ma mi tengo il vestito e le canzoni leggere. Qualche anno fa, diplomato geometra - e non mi piaceva per niente - feci i salti mortali per diventare e chiamarmi architetto. Oggi è diverso e penso che Verdi, Puccini e gli altri hanno fatto la musica del loro tempo così come molti di noi, autori e cantanti, stan cercando di fare ogni giorno. La cultura non è una patente e se poi la decidono in pochi, scelti e che si conoscono tutti fra loro, allora dico: no, grazie. E ripenso a mio zio, quando andava per campi e ha sempre confuso cultura e coltura ma che racconta comunque che si fa tanta fatica.
Articolo segnalato da Cristiana.