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Rassegna stampa - venerd́ 8 settembre 2000 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
L'Unione Sarda - 08/09/2000
www.unionesarda.it
Musica.
Incontro col cantautore romano in scena oggi a Nuoro e domani a Cagliari
Baglioni, volare oltre la collina
«Ho fatto pace con "Questo piccolo grande amore"»
di Marco Mostallino
«Via le diavolerie ipertecnologiche», spazio alla voce e alle dita che pizzicano le corde. Claudio Baglioni porta oggi (all'anfiteatro di Nuoro, ore 21.30) e domani a quello di Cagliari (alla stessa ora) lo spettacolo unplugged "Sogno di una notte di note".
Baglioni, perché un tour acustico?
«Innanzitutto alla base di questa scelta c'è una grave colpevolezza della Sardegna, ancora una volta rimasta fuori dai giri nei palasport. Anche per il tour "Il viaggio", la parte finale della mia trilogia, la Sardegna è stata esclusa per la sua carenza di strutture. A monte di questa scelta acustica c'è un po' questo rammarico, poi il desiderio di un diverso approccio con il pubblico. Si tratta di un progetto al quale pensavo già quattro anni fa, ma che all'epoca ho rimandato. Alla fine però ha prevalso la voglia immediata di cambiare pelle e il tour è nato subito dopo il precedente, senza nemmeno una grossa promozione. Insieme ai musicisti, che mi accompagnano da parecchio tempo, ci siamo resi conto che da vent'anni facevamo concerti solo nei grandi spazi, con orecchio cuore e mano sempre adeguati all'esagerazione, sempre con l'acceleratore spinto. Così ci siamo detti: perché non gettiamo via i computer e le altre diavolerie ipertecnologiche e non torniamo a sentire la corda sotto il dito e la voce con una dinamica più larga di quanto normalmente si fa?».
La scelta di siti storici come l'Anfiteatro di Cagliari è legata a questa svolta musicale?
«Sì, ho pensato che questo percorso si poteva seguire molto meglio attraverso luoghi di importanza architettonica e storica. Ora il tour si è allargato e abbiamo suonato anche in teatri moderni. Ma in spazi come l' Anfiteatro romano, in base alla suggestione dei luoghi cambiano il modo di suonare e quello di ascoltare. Da qui un itinerario attraverso posti che avevano già ospitato rappresentazioni popolari, perché anche il nostro spettacolo in fondo è di arte popolare».
E così è nato "Sogno di una notte di note". Qual è il tema dello spettacolo?
«È la canzone che parla della vita dei musicisti che, di notte, allungano le mani verso il cielo per raccogliere emozioni, coniugato con il Sogno di una notte di mezza estate, che il signor Guglielmo Shakespeare ha scritto qualche tempo prima di noi: in più c'è il tentativo di dare l'idea che il cielo stia lassù ad assisterci come grande padre».
Due tour in un anno: dove trova l'energia per non fermarsi?
«Non so se sia quella forma patologica di disperazione per cui appena ci si ferma ci si sente come viaggiatori un po' inutili, finiti fuorigioco.
Certamente ho fatto questo mestiere per caso, non avevo né il sacro fuoco né i genitori d'artista, di quelli che ti spingono e ti martellano. Ma ora è subentrata una grande passione, una forte curiosità e un desiderio di affascinare le persone con la musica. Così credo che l'energia arrivi dalla soddisfazione che si prova ogni sera, anche se qualche sera un po' meno, nel sentire la gente che applaude sinceramente».
La sua canzone che lei ama di più e quella di un altro artista che lei avrebbe voluto scrivere.
«La canzone degli ultimi tempi che amo di più si chiama Fammi andar via. Lo dico anche in concerto e chiedo al pubblico di poter cantare da solo, perché la presento in una versione estremamente delicata. Quanto alle canzoni di altri... beh, è un elenco talmente lungo che a volte mi auguro che tutti se le dimentichino così da poter fare finta che le abbia scritte io. Tra tutte, forse preferisco Yesterday di Lennon e McCartney: credo sia emblematica di come possa essere la canzone popolare, semplice e al tempo stesso bella».
La sua canzone più famosa è "Questo piccolo grande amore", eppure lei la canta raramente: perché?
«È la stessa ragione per cui De Andrè non eseguiva La canzone di Marinella e Fossati non fa La mia banda suona il rock. Tutti abbiamo il terrore di essere identificati per un solo verso, per una sola canzone, così tendiamo a demolire il nostro stesso piedistallo. Ma quattro anni fa ho dichiarato di aver fatto pace con Questo piccolo grande amore, perché in fondo ha vinto lei: la vera canzone popolare è quella che vive anche quando il suo autore non c'è più».
Dove crea le sue canzoni? In studio, per strada tra le gente o su una terrazza a sognare?
«Generalmente cerco di immagazzinare sensazioni, per annotare momenti musicali, anche durante un concerto. Nelle ore più impensabili mi capita di prendere una chitarra e cercare momenti armonici e melodici nuovi. Questo d' altronde è un mestiere come gli altri, se esiste l'ispirazione ti deve trovare già al lavoro. Cerco di fare tutto questo non in una città ma in un posto che mia dia suggestioni naturali. Qui trovo il silenzio e molte idee, anche se poi solo dal rumore riesce a emergere ciò che è degno di nota».
In "Io sono qui" lei dice di essere andato a lavarsi i panni e di essere tornato nuovo. In cosa consiste il cambiamento, nel passaggio dai temi dell' amore a quelli dell'esistenza?
«Il cambiamento ha coinciso con la terza fase del mio lavoro. La prima negli anni '70, dove raccontavo storie più che altro d'amore, un'idea post adolescenziale protratta molto a lungo. Poi negli anni '80, con Strada facendo e La vita è adesso, sono passato all'osservazione esterna, dell' avventura e la disavventura dell'uomo. La terza fase negli anni '90, con Oltre, Io sono qui e Viaggiatore, tre dischi concentrati su tre viaggi miei, nel passato, presente e futuro. E dopo le osservazioni un po' troppo egocentriche, ora mi attira tantissimo l'idea del semplice: sarà il prossimo passo, anche se fare cose semplici è il passo più difficile».
La sua prima "esibizione" fu a sei anni, quando per genitori e parenti cantò "La casetta in Canadà": dove è la casetta in Canadà di Baglioni?
«La casetta è il dove sarò domani, quel luogo mitico dove non si arriva mai ma che è bello pensare di poter raggiungere».
In "Gagarin" cantava «e ancora adesso io volo»: è un sentimento ancora suo?
«Cerco di tirarmi su e credo che questa sia in fondo la grande speranza di tutti. A volte di più c'è l'idea ambiziosa, come Icaro, del volo come fantasia di fare domani qualcosa che non hai ancora fatto e di offrirlo a qualcun altro. E ancora adesso io volo era il lamento di un uomo che sfida lo spazio e muore in un banale incidente aereo. Ma ciò che conta è essere ancora in volo, avere un nuovo panorama da osservare oltre la collina».
segnalato da Marcella