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Rassegna stampa - domenica 23 aprile 2000 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Il Mattino, Personaggi - 23/04/2000
www.ilmattino.it
TRA POP E VIDEO
Gli show
Dal 26 al Palamaggiò:
«Il tour mi aiuta a
sfuggire la routine. In
ogni tappa incontro
artisti e filosofi»
La musica
«Mancano proposte,
vince l'omologazione»
La sfida? «Difendere
la tradizione
puntando sul futuro»
di Federico Vacalebre
Tre volte Baglioni a Caserta, anzi quattro. Ai tre concerti (da mercoledì a venerdì) al Palamaggiò si è infatti aggiunto l'incontro che Claudio terrà giovedì alle 17 nel teatrino di corte della Reggia di Caserta. Un rendez vous perlomeno inusuale: il cantautore continuerà a presentarsi nelle vesti di «viaggiatore per scelta» e tenterà di conciliare le sue ragioni con quelle di Massimo Bignardi, storico dell'arte invitato a dire la sua sul Grand Tour, il viaggio per eccellenza. A completare il tutto, una mostra di Jacob Philipp Hackert, pittore-viaggiatore.
Voglia di evitare la routine, Claudio?
«Proprio così. Il tour è una faticaccia, ma mi ha già ritemprato dallo stress accumulato negli studi televisivi al fianco di Fazio. Anzi, durante le ultime puntate ho suggerito a Fabio di andarsene anche lui in giro per spettacoli, in modo da vedere il suo pubblico in faccia: fa benissimo, ti ricarica. Ma la routine è sempre in agguato, anche con uno spettacolo così diverso come il mio, col palco centrale, gli animatori in scena, le coreografie di Luca Tommasini. E questi incontri che sto abbinando ai concerti mi permettono di non sentirmi un alieno caduto sulla terra, anzi nei palasport. Parlare di viaggio ci permette di parlare di qualsiasi cosa, mi accompagno ad artisti, filosofi, pensatori, ma non viene mai fuori una cosa fintamente intellettuale. Spesso scantoniamo dal tema, quasi sempre, come succederà anche a Caserta, non conosco nemmeno i miei ospiti. A Torino ho incontrato Luciana Savignano e mi è venuto spontaneo confessarle invidia per la sua arte: lei sa raccontare con la danza quello che io tento inutilmente di fare con le parole».
Ma il pubblico degli show è così intellettuale?
«No, ai concerti la platea pensa alla festa, alla comunicazione, ha voglia di cantare, stare insieme, divertirsi. Qualche fans viene per strappare la stretta di mano, l'autografo, ma la maggior parte dei presenti è invece richiamata dalla possibilità di ritrovare una dimensione diversa, il piacere di ascoltare e parlare, di discutere, di non essere schiavi del palinsesto televisivo».
A proposito, dopo l'esperienza fatta con Fazio a «L'ultimo valzer», è toccato a Renato Zero scoprire come la canzone d'autore non sia ancora di casa in tv.
«Non riesco ancora a crederci: il suo programma faceva cinque milioni di ascoltatori e i critici televisivi scrivevano che era troppo poco! Mi sembra un paradosso, per me è una platea sterminata, proprio come quella che seguiva il programma con Fazio, soprattutto pensando che noi tentavamo di fare trasmissioni di qualità. La tv non ha mai trattato bene la musica, è schiava dell'audience, qualche show monografico fortunato aveva fatto pensare che la situazione fosse cambiata, ma purtroppo non è così».
Santana e Guccini in cima alle classifiche dei dischi più venduti. Venditti, Dalla e Baglioni a riempire teatri e palasport. Lou Reed e Neil Young a strappare le recensioni più positive ai critici. Per non parlare del boom dei supernonni cubani. E i giovani?
«Me lo chiedo anch'io. Egoisticamente mi dovrebbe far piacere che non ci siano nuove leve, invece la situazione mi deprime. C'è una certa atrofia di proposte che si riflette anche nell'atteggiamento poco coraggioso di gran parte della critica, come nel consumo del pubblico. A me il disco di Santana piace, ma vorrei ascoltare qualcosa di nuovo. Delle session dell'"Ultimo valzer", ad esempio, quelle che mi sono rimaste impresse, senza togliere nulla a colleghi bravissimi, sono state le esperienze con Carmen Consoli, Irene Grandi, Paola e Chiara, Samuele Bersani».
Forse per i ragazzi oggi è difficile farsi notare.
«Certo, la dittatura di tv e radio spinge all'omologazione, suggerisce di non far notare la propria originalità. E se un giovane si normalizza è inevitabile che chi deve comprare un disco punti sugli anziani maestri, i modelli. Il meccanismo della musica ormai è in avaria: è la stessa storia del cinema italiano, bisogna trovare una maniera per invertire la rotta, difendendo la tradizione, ma scommettendo sul futuro».
segnalato da Sergio