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Rassegna stampa - giovedì 16 marzo 2000 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Gazzettino - 16/03/2000

Aperta ieri al Palasport di Firenze, con un concerto lungo tre ore, la nuova tournée italiana del cantante romano, dedicata alla comunicazione virtuale e agli spostamenti della fantasia
Baglioni nel tempo mobile
Palco centrale, sipari velati e ballerine a condire alcuni momenti dello show

di Giò Alajmo

Firenze

Sono "Tamburi lontani" quelli che introducono la nuova avventura di Claudio
Baglioni. In un palasport di Firenze pieno e costretto a tre repliche per
accontentare i fan (con i soci del suo club ammessi nel pomeriggio a un breve
concertino personalizzato), il cantante romano ha aperto ieri il suo tour italiano,
terza parte di un progetto iniziato musicalmente con "Oltre" e proseguito con i
concerti dal camion giallo e nella versione spettacolare ("rossa" come il sipario
di un teatro) di "Io sono qui". Mancava all'appello la terza fase, quella annunciata
come "Blu", o della comunicazione virtuale, e l'attesa è durata fino a "Viaggiatore
sulla coda del tempo", ultimo lavoro, seguito dall'apparizione con Fazio ne "L'ultimo
valzer" e ora con questa tournée che lo terrà impegnato fino a giugno con tappe a
Verona (30-31 marzo), Treviso (3-4 aprile), Trieste (14).

Il tema del viaggio che domina il disco è ripreso per intero e sviluppato in concerto.
Resta l'idea del palco centrale, di coreografie di ballerini, di scene che si alzano e
si abbassano fra giochi di luce, ma questa volta la ricerca è di una maggiore
essenzialità, fermo restando il credo baglioniano che dice «uno spettatore che
paga un biglietto per sentire canzoni che conosce in questi palasport dall'acustica
infame, e si sobbarca viaggio e spese, compie un sacrificio, e merita gli si porti
rispetto offrendo più di quanto si aspetta».

Il palco di metallo argentato è fatto a croce con i musicisti collocati su quattro altre
pedane più basse appoggiate agli angoli interni. Otto ballerine aggiungono un
tocco di movimento in alcuni momenti salienti mentre quattro sipari bianchi di thulle
possono scendere a creare sul quadrato centrale come una piccola stanza per
giochi di luce e movimento, e proiezioni di laser, mentre altri quattro sipari ancora
più grandi possono calare a separare l'intero palco dal pubblico seduto a contatto
con i musicisti. L'effetto, a casa giapponese, è bello ed efficace pur nella sua
semplicità. A ulteriore elemento di arricchimento i gruppi di canzoni che girano
attorno ai brani nuovi, sono introdotti da una voce narrante, talvolta lo stesso
Claudio, altre volte il suo alter ego virtuale "Cloud", idea ispirata al film
"Il tagliaerbe", con il nome che invece si rifà all'highlander immortale McCloud.

È un concerto lungo, di circa tre ore, quello assemblato da Baglioni, con le canzoni
scelte per tema e assonanza, alcune invenzioni sceniche, molte omissioni
clamorose ("Poster", "Sabato pomeriggio", "Notte di note", "Acqua dalla luna"),
qualche recupero inaspettato ("Gagarin") e qualche bella rilettura ("Uomini persi"
sugli anni di piombo, "Ninna nanna nanna ninna" canzone pacifista da Trilussa) e
una lunghissima "Mille giorni di te e di me" che si dipana per ben sette minuti con
un finale strumentale a tango poliritmico.

Per curare i dettagli Claudio ha rinunciato a partecipare all'omaggio genovese a
De Andrè, domenica: «Sono rimasto in dubbio - spiega - fino all'ultimo minuto
possibile. Già a Recanati ero corso a sostituirlo perchè stava male, cantando
"La canzone dell'amore perduto". Questa volta avrei fatto una sua poco nota
versione del "Concerto di Aranjuez" del '67, che dimostra come le canzoni sono
di chi le ascolta. Io suonavo il piano, ma è stato ascoltando De Andrè a 14 anni
che mi è venuta voglia di prendere in mano la chitarra, cantavi le sue canzoni e
finivi al centro dell'attenzione magari solo perchè usavi parole come "puttana",
"via del campo c'è una puttana..." e tutti si giravano!».E la voglia di stupire una
volta sul palco è rimasta, magari come la confessata voglia di sparire, di non
essere riconosciuto una volta sceso. Il Baglioni privato ha perso il padre da poco
ed è a lui che dedica "Tamburi lontani", «il brano più complesso che ho scritto in
questi anni e il più difficile da cantare. Mi è sembrato una specie di prefazione a
uno spettacolo tutto basato sul rapporto col tempo, unica parte mobile dell'eternità.
Ma anche "Gagarin" mi fa pensare a mio padre, il verso "ancora adesso io volo",
con l'uomo volante che è l'unica manifestazione della memoria».

Il viaggio scorre partendo dal "Cuore di aliante" ed entrando nell'"Hangar" da cui
la fantasia è chiamata a uscire, e poi via, sulle note di "Bolero", implorando la
possibilità di "andar via" e rincorrendo lo scorrere del tempo nella storia,
cercando "un giorno nuovo o un nuovo giorno", e scoprendo il "mal d'universo", la
ribellione di "Noi no", la speranza di "Avrai", la comunicazione e la sfida di "Chi
c'è in ascolto", "Gagarin", "E adesso la pubblicità", l'introspezione di "Opere e
omissioni" e avanti fino a ripercorrere le vie dei colori e a rileggere "Questo
piccolo grande amore" su una base musicale fatua che alla fine torna
vigorosamente rock.

«Mi terrorizza l'idea che tutto debba essere "facile"» dice Baglioni. E chiude con
il dialogo con se stesso,"A Clà" e i suoi tre inni, "Strada facendo", "La vita è
adesso", "Io sono qui".

Un nuovo viaggio è cominciato.

segnalato da Ernesto

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