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Rassegna stampa - sabato 30 ottobre 1999 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Il Mattino - 30/10/1999
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Il coraggio di cambiare stile e suono



Roma. Come i Pink Floyd, Baglioni lavora a ogni suo disco con cura maniacale. L'ha finito sabato mattina alle 8.30, e adesso quasi rimprovera i discografici della Sony «colpevoli» di aver missato un brano utilizzando il nastro in cui lui canta «la notte», invece di «una notte». «Ci avevo pensato un giorno intero, quasi quasi lo rifaccio daccapo», scherza Claudio.
«Viaggiatore sulla coda del tempo» è davvero un lavoro maniacale: versi affabulanti e persino verbosi che si muovono tra calembour e rime ardite, suoni modernissimi, brillanti (merito anche del napoletano Corrado Rustici e di Paolo Gianolio).
Un disco di pop contemporaneo, insomma: al primo ascolto (altro non ci è stato dato) Baglioni sembra aspirare al ruolo di Peter Gabriel nostrano, cita Bjork come musa ispiratrice, sceglie una versificazione che ricorda quella di Pasquale Panella e sonorità che non conoscono paragoni sulla scena italiana.
«Hangar» apre il cd con ritmi, rumori e inserti sonori che sembrano voler raccontare lacerti di memorie collettve: «Uno in mezzo a tanti/ e tanti in uno anche io/ qui tra peccatori e santi/ io non sono mica Dio». «Un mondo a forma di te» è uno degli episodi migliori, una base hip hop liquida e stranita, un talking pop che si apre improvviso alla più classica cantabilità baglioniana per ribadire una militanza antirazzista insieme con la preoccupazione per la globalizzazione, per un mondo ormai dominato dai banchieri.
Il «disco-viaggio» - così lo chiama lui - va avanti tra arpe e sapori d'Oriente, atmosfere celtiche e violini, elettoronica e melodie che vogliono essere verticali e non orizzontali, «rinunciando insomma alle note ribattute, scegliendo parole-suono piuttosto che parole-messaggio». «Stai su» e «Cuore d'aliante» sono esempi di pop modernissimo, con un uso più che intelligente dei cori. «Caravan» (sigla di «L'ultimo valzer») conferma la svolta a 360 gradi di Baglioni, l'attrazione verso un percorso che abbandona ritornelli e riff immediati e vincenti per la complessità di melodie multistrato al servizio di versi ora banali, ora ficcanti: «Come siamo cambiati/ neanche il passato è più/ quello dei tempi andati/ si sa com'è ma non come fu/ le cose stan cambiando/ mentre ci cambiamo/ noi che stiamo ballando/ l'ultimo valzer che suonano/ non si esce da una storia/ che non esce da noi». Sembra un commento ai giorni che stiamo vivendo col ritorno dei protagonisti della Prima Repubblica, coi fantasmi della Guerra Fredda e l'overdose di revisionismi: «Nelle vie di memoria/ la stessa storia riaccade poi/ si abbattono le statue/ i piedistalli no/ perché le cose fatue/ di nuovo servono dopo un po'».
I tappeti elettronici di «Mal d'universo» fanno pensare a Mango e all'ultimo Battisti, non fosse per la voce di Claudio, sempre più attenta a disegnare purissime melodie. «Chi c'è in ascolto» sa addirittura di Penguin Cafè Orchestra: un disco coraggioso sicuramente. Ma piacerà ai baglioniani?

segnalato da Manlio

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