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Rassegna stampa - sabato 30 ottobre 1999 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su La Repubblica - 30/10/1999
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Baglioni: il mio disco è nato da un sogno

E da Fazio canterà De André Il cantautore ha presentato il nuovo album "Viaggiatore sulla coda del tempo", atto finale della trilogia

di Gino Castaldo

ROMA - È tutto vestito di nero, tranne i capelli che cominciano a
ingrigirsi, alla maniera dei tanghèri, che così facendo rispettano una sorta
di lutto dell'anima, ma forse per Claudio Baglioni la motivazione è diversa:
piuttosto una visione estraniata e silenziosa dell'eleganza, anche se per
presentare il suo nuovo album ha scelto proprio un bellissimo loft del
quartiere di San Lorenzo dove abita un amico argentino, il pittore Oscar
Turco. Le grandi vetrate dello studio sono luminosissime, irradiano la
giusta luce per sottolineare le ambizioni di questo nuovo album, un
colossale volo pindarico intitolato Viaggiatore sulla coda del tempo (in
uscita il 12 novembre), che lo stesso protagonista definisce l'atto finale
di una ideale trilogia (con i precedenti "Oltre" e "Io sono qui") che, visti
i suoi rarefatti ritmi discografici, ha occupato praticamente tutto il
decennio.
Le ambizioni sono alte, anzi altissime, malcelate dal tono discorsivo con
cui Baglioni ci introduce all'ascolto del disco. "La fine del secolo non
significa niente" dice, "solo un passaggio come un altro verso un'altra età,
non una nuova era", eppure ascoltando il disco sembra che neanche lui abbia
resistito alla tentazione di pronunciare la parola definitiva, sebbene -
sottolinea - del tutto personale. "Anche questo album, come i precedenti, è
il frutto di un sogno, e potrebbe anche apparire come una favola, ma forse i
capelli grigi di oggi me lo consentono. Il mio protagonista, anche se poi
potrei essere io, è un viaggiatore che vive un'eterna vigilia".
Il disco è un progetto, un cosiddetto concept album con un racconto unitario
e completo dove metafora, appunti di viaggio, introspezione e memoria si
intrecciano senza pudori nel gioco delle melodie. I temi sono imponenti,
benché Baglioni cerchi di minimizzare, e certe volte il racconto sembra una
dissertazione sull' idea del tempo, anzi di più, sul senso della vita
immersa nello scorrere del tempo. Come e più del solito Baglioni si lascia
catturare da tentazioni filosofiche. Tra Cioran a Parmenide, sembra di
essere più che altro a un incontro per discutere il nostro destino di esseri
umani.
Come riconoscere in tutto ciò - e a Baglioni va dato atto che non fa nulla
per vivere di rendita sul passato - il vecchio cantore adolescenziale?
Difficile, davvero, se non nella voce che spicca tra i sofisticati suoni del
nuovo album, evoluta sì, ma in fondo la stessa di sempre. I testi indagano,
stuzzicano i dubbi più grandi che un uomo possa porsi, e scivolano in un
continuo gioco di allitterazioni, quasi un tono da limerock d'autore: "...
dell'universo riverso e emerso mal d'universo", "non smettere di
trasmettere", "io sono quel gabbiano in gabbia", "tu sei la stella che vaga
e invaghisce... il rimpianto che dura e indurisce". Ecco alcuni estratti che
potrebbero allarmare il lettore. Ma è lo stesso Baglioni a tranquillizzare
tutti: "Mai come questa volta ho lavorato sul suono. C'era la voglia di
raccontare questo viaggio, ma i testi sono venuti fuori pensando al suono,
non andrebbero letti senza la musica".
Per la verità, sebbene tutto il disco sia un omaggio incondizionato alla
melodia, sono melodie anche piuttosto difficili, non da canticchiare
facilmente: "Non è un problema, anzi, devo dire che mi fa anche piacere,
perché ritengo che oggi ci sia una fruizione errata della melodia. C'è una
semplificazione eccessiva, e tutto sta diventando una specie di grande
karaoke. Anche i concerti rischiano di diventare soprattutto questo: è bello
che i fan cantino anche loro le canzoni, ma se questo succede durante tutto
il concerto, allora non si capisce cosa ci sto a fare io. Devo dire che
quando ho dovuto cantare i nuovi pezzi, da esecutore mi sono anche
arrabbiato con l'autore, che poi sono sempre io. Ma va bene così".
Sul senso del disco non ha dubbi. Il tema principale è il tempo: "La
sensazione dell'immutabilità dell'essere umano rispetto al passare del
tempo. A volte capita di sentirsi in qualche modo uguali rispetto al tempo
che passa. Anzi c'è il bisogno di ritrovare quel piccolo sosia di noi stessi
che ci assomiglia ma dal quale ci siamo allontanati. Allora mi è venuta
voglia di esprimere questo nella forma di un viaggio. In fondo siamo sempre
in viaggio e mi sembrava la metafora più adatta".
Si fa una certa fatica a scendere da queste altezze. Qualcuno chiede
timidamente notizie sull' imminente programma televisivo. Su Celentano
glissa abilmente sostenendo di non aver avuto occasione di vedere il suo
programma a causa della lavorazione del disco, e su quello che succederà con
Fazio dice poco o nulla. "Sì, è vero che il titolo, Ultimo valzer, è tratto
da una canzone dell'album, Caravan, che sarà anche usata come sigla, ma
l'idea del disco non ha niente a che vedere col programma. Ci stavo
lavorando da due anni. Di sicuro canterò i nuovi pezzi, almeno uno per
puntata, ma soprattutto andremo a ripescare una cinquantina di grandi
canzoni. E per cominciare duetterò con Venditti e con Paolo Villaggio".
Pochi forse se lo ricordano, ma Villaggio ha scritto con De André Carlo
Martello, e sarà appunto questa la canzone che eseguiranno insieme.

segnalato da Giuseppe

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