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Rassegna stampa - marted́ 1 dicembre 1998 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Maxim - 01/12/1998
Questo piccolo grande autore
di Daria Colombo
Ha scritto la canzone del secolo, ha venduto 23 milioni di dischi, ha riempito gli stadi di Roma, Milano e Napoli. Ma dal successo Claudio Baglioni si difende perche' teme che lo allontani dalla realta'. E dice di amare l'ovvio perche' di questo e' fatta la vita vera..
Amore bello. Amori in corso. Piccoli e grandi. Per dire che d'amore non di muore, anzi si vive. Lo sa bene Claudio Baglioni che delle faccende di cuore e' stato il cantastorie piu' applaudito d'Italia, il poeta di piu' generazioni, il Catullo con la chitarra che ha fatto sospirare orde di coppiette innamorate. Sara' per la sua voce un po' roca e profonda come il Tevere la' dove curva per Castel Sant'Angelo, per quelle ariette leggere tanto simili al ponentino romano, per quelle strofe cosi' semplici che tutti abbiamo canticchiato (o avremmo voluto), fatto sta che Baglioni, censurato e rimosso dalla parte razionale e seriosa del cervello di ognuno, con la nostra anima ha sempre saputo farci quello che ha voluto. Eppure, proprio lui, dice di saper amare poco, o meglio, di non sapere esprimere questo strano sentimento che, per contro, e' stato per trent'anni l'unico tema delle sue canzoni. Perche' le case discografiche glielo imponevano (visto che gli veniva tanto bene!), dice lui. O forse perche' bisogna intendersi sul concetto d'amore: al di la' delle vicende personali, nelle quali si puo' essere piu' o meno disinibiti, amore e' anche passione per il particolare, per le situazioni di tutti i giorni, per i pensieri che scorrono via senza essere fermati, colti, capiti. E in questo Baglioni e' maestro, da quando con i capelli lunghi, gli occhiali spessi, a fianco della sua "duecavalli" gialla, con la chitarra a tracolla, ha iniziato a trasformare l'ovvio in una favola che dura da tre decenni. O forse molti di piu'.
L'enorme successo della tua ultima tournée ha dato fastidio a tanti: colleghi illustri, critici musicali. Queste interferenze ti disturbano?
E' sicuramente piu' facile rispondere a un'ingiuria che a un complimento. Quando sei preso di mira, sei comunque citato, e vuol dire che hai fatto qualcosa di evidente. Cio' che e' allarmante e' che qualcuno (ndr, Vasco Rossi ed Eros Ramazzotti) debba, per distinguersi, criticare qualcun altro. Invece di parlare in maniera positiva e propositiva delle proprie cose, si parla male di un'altra persona.
Nelle recenti apparizioni in pubblico hai portato sul palco tuo figlio Giovanni. Per alcuni hai fatto bene, altri hanno parlato di nepotismo...
Me lo ha chiesto lui e, poiche' e' solo da due anni che abbiamo recuperato un rapporto armonico, che mi chiama papa', ho pensato che questa era la maniera piu' normale per stare e apparire insieme. Il fatto che lui sia salito sulla scena e' stata una cosa naturale, come un fiore che cresce, che sboccia tutto a un tratto.
Un cantautore e' il testimone di una generazione. Il portavoce dei sogni di tutti. In che maniera riesci a isolarti, a evadere da un impegno cosi' totale?
La lotta, per me, non e' quella verso il successo. La vera lotta, dove spesso si resta sconfitti, e' quella di cercare di non perdere la testa a causa del successo. Piu' e' esaltante il torneo, l'avventura, il bacio della principessa, e piu' e' difficile tornare poi per la strada, andare una sera a cena con un amico, incontrare le persone care. Sul palco indubbiamente si fanno cose che, nella vita reale, sarebbero impossibili, oppure ti renderebbero grottesco. Sulla scena faccio quattrocento metri di corsa: normalmente, mi verrebbe il fiatone dopo pochi passi. Oppure mi sono messo un mantello da mago, perche' so che nella vita a mala pena mi metto una maglietta nera. Insomma, il palco e' un luogo dove posso giocare: la vita, quando i riflettori si spengono, e' ben diversa. Meglio scaricare questa adrenalina sulla scena. Ho visto dei miei colleghi che, per strada, benedicevano la gente. E io non voglio arrivare a 47 anni a distribuire assoluzioni lungo i marciapiedi, preferisco sfogarmi sulla ribalta, e poi tornare ad essere un uomo normale nella vita di tutti i giorni.
Sei un artista invidiato da molti. C'e' qualcuno che invidi a tua volta?
A ognuno dei miei colleghi italiani invidio qualche cosa: una canzone, una frase, un atteggiamento, un qualcosa che avrei voluto fare io e che non ho fatto io.
Sembra che tu abbia fatto un patto con il diavolo: bravura, successo, ricchezza, bellezza. Non invecchi mai, ne' artisticamente ne' fisicamente. Qualcosa in cambio, a Mefistofele, lo avrai pure dato...
Sicuramente. Per esempio di rado riesci a incontrare i parenti. E' un tipo di distacco che ti mette addosso grossi sensi di colpa, perche' poi qualcuno se ne va, non c'e' piu'. La sensazione e' di non aver cosi' tanto tempo e di doverlo usare al massimo. In questo andare molto veloci si perde qualcosa per strada: ecco cosa si regala al diavolo.
Tre decenni di canzoni: cosa e' cambiato? E cos'e' l'amore che il pubblico ha per te?
Il pubblico non si affeziona alle persone, ma a quello che fanno e questo non ci va giu', perche' vorremmo essere amati per quello che siamo, non perche' abbiamo scritto delle canzoni. I miei tre decenni musicali sono sufficientemente separati dal punto di vista della discografia. Come vitalita' penso di averne adesso piu' che prima. I miei vent'anni, tutto sommato, sono stati pigri, indolenti,. Ora ho una maggiore curiosita' nei confronti della vita e un forte desiderio di essere contemporaneo.. Non credo di avere paure vere: ne' della vecchiaia, ne' della morte. Pero' ho terrore della distanza rispetto alla realta'. Ogni giorno cerco di essere nel centro del tempo.
Dove ti hanno portato artisticamente gli anni Novanta?
Sono stati spazzati via in maniera autoironica. L'ho pure scritto in una canzone che si chiama Dov'e' Dov'e'. Forse questo decennio e' servito come archivio, per mettere le cose a posto. Io, pur avendo un'indole malinconica e velatamente pessimista, ho l'impressione che ci sia come un grosso ventilatore che mi spinga verso il futuro. Del domani, mi spiace solo di poterne vedere un pezzetto e basta.
La canzone Questo piccolo grande amore ha imposto una svolta totale alla tua esistenza. Cosa e' rimasto del progetto di vita della matricola di architettura?
Il contenitore e' cambiato, ma le dimensione sono quelle. Non ho idea di che vita avrei fatto senza quel successo. E' indubbio che non avrei avuto tutte queste possiblita'. Non sono una una persona ricchissima, perche' ho speso sempre tanti soldi, soprattutto per il mio lavoro. Mi sono anche concesso pause lunghissime (5 anni per realizzare l'ultimo disco, ndr) di assoluto torpore e silenzio. Di quel ragazzo che andava in giro con la " due cavalli" credo sia rimasto il fatto di fare qualcosa e poi di meritarmela. Mi sento una persona fortunata, e continuo a cercare di meritarmi quello che e' successo trent'anni fa.
Tutti hanno parlato del cosiddetto "sdoganamento Fazio". In effetti, dalla trasmissione "Anima mia" c'e' stata una svolta di immagine: timido e scontroso prima, disponibile e quasi giocoso dopo. Dietro a questo cambiamento, peraltro vincente, c'e' un po' d'ansia d'oblio?
Non credo alle trasformazioni. Ho una mia teoria: queste cose c'erano da sempre. E sono documentate: io con i miei amici di serate, nottate e mattinate, con le telecamere a ironizzare sulla televisione. Quando scrissi Questo piccolo grande amore, tirai fuori anche canzoni politiche, che mi vennero tagliate. "Scrivi cosi' bene d'amore - mi dissero - perche' spostarsi dall'argomento?". Pure quelle "zeppe" che mi sono messo ad "Anima mia" io le avevo viste nel '73 al mercato delle pulci, e ci giravo intorno dicendo: "Me le compero o non me le compero?". E contemporaneamente scrivevo "... E lungo il Tevere che andava lento lento...". Gia' prima di questa trasmissione, nei miei concerti, c'erano degli elementi di gioco. La mia timidezza esiste ancora, solo che si e' aperto un po' di piu' il serbatoio della leggerezza.
Un critico musicale ha scritto: "Baglioni ci restituisce l'ovvio della vita colorato di azzurro". Ti riconosci in questa frase?
La trovo una critica positiva. Sono innamorato dell'ovvio della vita, e' il lavoro dell'uomo: dare un senso a quello che facciamo. Nell'ovvieta' c'e' una reale commozione. Io per mestiere cerco di raccontarlo. E vengo anche apprezzato per questo. Non saprei scrivere di fatti da prima pagina dei giornali o commentare gli episodi della storia: ci sono luoghi e persone piu' appropriati per fare questo.
Cosa leggi e che musica ascolti?
Leggo le cose piu' disparate. In questi ultimi 3 anni sono andato cosi' veloce che sento il bisogno di collegarmi con le parole di qualcun altro. La bellezza del leggere sta nel farlo da solo, e al solitudine si accomuna a quella di chi ha scritto. Un ponte tra due persone. Con la musica e' piu' casuale: ascolto cose lontane da quelle che farei io.
Hai detto: "La musica e' un viatico che mi ha salvato come persona". Cosa intendevi?
Forse da una vita grigia, da un lavoro che non mi sarebbe piaciuto. Mi ha soprattutto salvato da una certa difficolta' sentimentale: sono uno che sa amare poco, o perlomeno che lo sa dimostrare con difficolta'. E invece questa musica mi ha salvato: sono riuscito a comunicare in pubblico, con segnali sotterranei, quello che non riuscivo a dire di persona.
Conta per te avere vicino una donna?
Moltissimo. Quando cominciai a cantare mi colpi' una frase di Cesare Pavese. Diceva che era inutile cercare un'anima gemella quando non vuoi che pubblico. Io non credo che la donna che si ha accanto sia sempre la musa ispiratrice: e' "solo" la donna che si ha accanto, la compagna della tua vita, il che e' molto di piu'. E non e' vero che una relazione fissa danneggi l'ispirazione. Una volta un discografico mi disse: "Ma tu mica penserai di sposarti? Ti toglierebbe la fantasia", invece sono proprio gli squilibri e gli equilibri di un rapporto fisso che ti fanno approfondire le fasi dell'amore, le sue metamorfosi".
Un ricordo della tua infanzia che ti viene in mente...
Quando mi sono messo i pantaloni lunghi. Avevo dieci anni, andai all'oratorio, con l'orgoglio di sentirmi finalmente grande. Appena arrivai, c'erano dei ragazzini che giocavano con le biglie di vetro, io mi chinai per prenderne una, e i pantaloni si strapparono. Dalla sensazione di grandezza passai alla mortificazione e alla disperazione. C'e' una morale: lo strappo capita quando meno te lo aspetti, anche quando ti senti arrivato.
Hai scritto la canzone del secolo, hai venduto 23 milioni di dischi. Sei amato ovunque. Dicci qualcosa di umano ...
Mi si sono rotti i pantaloni. Scherzi a parte: per esempio, ho subito una contestazione al concerto di Amnesty International. Ho tante ferite che si aprono e si chiudono. Non sono un alieno: il solo pensiero mi terrorizza.
Hai detto che non potresti piu' immaginare il tuo lavoro in termini normali, ripetendo le stesse cose. Quali altri effetti speciali ci riservi?
Spesso faccio cambiamenti di cui non si accorge nessuno. In tournèe a volte, anziche' fare un accordo con quattro dita, lo faccio con tre. Piccole varianti che mi servono affinche' non sia mai routine. Chi lo sa, forse la mia prossima invenzione sara' la semplicita'.
segnalato da Stefania Renzo