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Rassegna stampa - luned́ 27 luglio 1998 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
La Repubblica - 27/07/1998
www.repubblica.it
LEOPARDI
NOSTRO
POETA
BLUES
di Claudio Baglioni
LA RASSEGNA concorso della musica d'autore di Recanati ha avuto, ancora una volta, il pregio di far capire che lingue e suoni con cui vale la pena entrare in contatto sono più di quanti immaginiamo. Da anni faccio parte del comitato di garanzia della giuria, ma - per la prima volta - (complice, forse, il bicentenario leopardiano) ho avvertito il bisogno di scrivere una pausa sul pentagramma di questa vita in cui quasi tutto è fast-food e incontrare di nuovo quell'uomo le cui parole da oltre centocinquant'anni allargano i polmoni di coscienze sempre più atrofizzate dal fumo dell'ovvio e del banale. Così moderno e violento, così metafisico e terreno, speculativo e graffiante, così intensamente "blues" - se mi passate un'aggettivazione che non vuole suonare irriverente - Leopardi è l'esempio dell'incapacità che, talvolta, ci coglie di riconoscere le cose importanti anche quando ci passano accanto.
C'è qualche piccolo elemento in comune tra canzone e poesia. Piccolo, perché un confronto è, per molti aspetti, improponibile. C'è lo strumento. Canzone e canto sono praticamente sinonimi e poeta e autore sono vicini almeno in questo. E non per la metrica o la struttura, ma per la forza della lirica, l'universalità dei temi, la capacità di superare ogni limite di confine, abbattere ogni "muro" e lanciarsi nell'infinito, come una bottiglia che affidiamo al mare della storia, nella speranza che approdi sulla costa più lontana che ci riesce di immaginare.
Non credo che i testi delle canzoni siano poesia. Una cosa è un testo, altra cosa la poesia. Né è sempre possibile - ammesso che sia utile - individuare un primato. Ci può essere un bel testo e una brutta poesia o viceversa ed è capitato che bravi poeti abbiano scritto pessime canzoni. Ma la poesia è compiuta in sé, il testo non è se non per la musica.
Canzone e canto condividono, poi, l'essere, allo stesso tempo, schermo e specchio. Musicista e poeta si nascondono e si riflettono nel testo e il sé disvelato convive con il sé celato, nel gioco (o nella sofferenza) di dover essere, di volta in volta, l'uno o l'altro. E c'è, infine, la solitudine del canto. Condizione inevitabile per chi ha il dono di cogliere il non-percepibile. Dono che Leopardi descrive così: "All'uomo sensibile e immaginoso il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi" e "trista quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione".
È da questa tristezza, alla quale non dovremmo mai consegnarci, che canzone e poesia hanno il compito di liberarci, spingendoci sempre a guardare dentro e al di là delle cose, per cercarne il "doppio" invisibile.
segnalato da Cecilia Lombardino