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Rassegna stampa - marted́ 23 giugno 1998 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
La Repubblica, Spettacoli 39 - 23/06/1998
www.repubblica.it
Cari colleghi, un concerto non basta
di ERNESTO ASSANTE
ROMA - Lucio Dalla non sta mai fermo. Non ama la pigrizia. E non si accontenta nemmeno del clamoroso, costante successo che accompagna la sua carriera. "Se cerchi l'emozione non puoi stare chiuso dentro casa", dice. E allora, per cercare ancora emozioni, ha appena finito la colonna sonora del nuovo film di Campiotti, si è concesso un concerto a Salerno, per la festa della promozione della Salernitana in Serie A, davanti ad ottantamila persone, continua la sua attività discografica con la sua etichetta e ieri ha presentato la sua nuova sfida. Che è un esperimento, realizzato con un vecchio compagno di strada, il poeta Roberto Roversi, uno spettacolo intitolato "Enzo Re".
"E' un vecchissimo progetto, del 1972, un testo straordinario che avevo musicato allora, e che doveva andare in scena per la regia di Luigi Squarzina. Non se ne fece nulla, e io o Squarzina perdemmo la cassetta con le musiche. Oggi quel progetto è tornato a vivere, ho riscritto tutto, e mi sono impegolato fino in fondo nella poesia di Roversi. L'ho fatto non solo perché mi interessava e mi piaceva, ma anche perché più andavo avanti e più mi disintossicavo dalle regole sempre più strette del pop. Mi sono messo al lavoro con piacere perché è musica diversa e anomala, musica d'avanguardia, anzi no è musica insolita, totalmente libera. Insomma c'è sperimentazione, e attualmente non se ne sente molta in giro".
E da che parte va Dalla oggi?
"Nella mia storia la casualità è dominante, d'altronde io lavoro a 360 gradi, non so quale musica preferisco. Amo la diversità, fare cose lontanissime tra loro come "Caruso" e "Attenti al lupo". Sta di fatto che ogni volta che vendo tanto, e il disco "Canzoni" è arrivato a un milione e ottocentomila copie, tornano degli istinti sopiti, arrivano dei sensi di colpa, e mi piace tornare a cose che facevo senza essere capito. Insomma, non devo fare vedere di essere intelligente, non devo dimostrare a qualcuno quanto sono bravo, devo solamente giocare".
Molti suoi colleghi, ultimamente, amano giocare con i concerti.
"E fanno bene, se sono contenti così. Non tutti, però, fanno le stesse cose. Ho visto Baglioni al telegiornale e mi ha suggestionato, mi ha colpito, secondo me è sempre stato oltre la musica anche lui, e poi ha vissuto la dolce epopea del dissenso critico che rende felici gli artisti veri. Altri, invece, mi sembra si godano l'eterno portare i ceri al mito, fanno concerti di retorica pura. In una società in mutazione come la nostra, contare la gente è legittimo, io l'ho fatto e lo farei ancora, ma esistono altri aspetti nella musica di oggi. Poi c'è il caso a parte, che è il concerto di Pavarotti: lo spettacolo di Pavarotti è socio-musicalmente uno dei più avanzati di oggi. Se costruisci senza conservare ti può anche bastare un concerto, se no devi provare a fare dell'altro".
Qual è il segreto per continuare a provare sempre cose nuove?
"La condizione ideale è il rodimento: io l'altra sera avevo davanti ottantamila persone a Salerno per la promozione della squadra. Ai primi due pezzi c'era freddezza e ho provato un'energia assoluta, mi sono lanciato, ho messo i piedi sul pianoforte, mi sono scatenato come mi capita di rado, ho dato tutto e mi aspettavo di tutto. Insomma non puoi pretendere il consenso sempre e questo "rodimento" di non essere capito ti propone altre idee e soluzioni. Se non facessi cose come questa con Roversi, o quella con i Solisti Veneti, o l'esibizione davanti al Papa con Michel Petrucciani, mi sentirei un trombone".
Ha una spiegazione del perché si vendono pochi dischi in Italia?
"Uno dei problemi non è il prezzo alto dei dischi ma la noia della musica che c'è dentro. Poi si trova anche musica nuova".
Chi in particolare?
"Il fenomeno dei Prozac+ è straordinario, la loro musica è di un rigore assoluto. Anche la Gioconda aveva rigore, e qui siamo al livello della Gioconda. La gente non capisce quello che fanno, ma quello che sono i Prozac. Sono andato al loro concerto due volte, sono straordinari, fuori dalla scena sembrano dei tour operator, sul palco sono da neurodeliri. Poi amo dire che gli ultimi quattro dischi importanti italiani sono quelli degli Articolo 31, scrivono dei testi assolutamente unici".
Insomma, qualcosa sta cambiando in meglio?
"Gli artisti, i gruppi giovani ci sono. Ma il problema è nella discografia che non ha più centri creativi. Tutte le volte che valutano un gruppo o degli autori giovani, gli chiedono di fare dei dischi che piacciano alle radio, quindi il 75 per cento della produzione viene fatta in funzione delle radio. Così la gente si limita e si ferma a quello che le radio propongono. Attenzione non parlo male delle radio, fanno il loro mestiere. Dico che se nelle case discografiche non si pensasse all'omogeneità ma all'anomalia, le cose forse cambierebbero".
Il suo futuro?
"Sono già in studio, sto lavorando al prossimo disco. Se ne parlerà l'anno prossimo".
segnalato da Cristiana