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Rassegna stampa - luned́ 8 giugno 1998 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Il Messaggero , Spettacoli - 08/06/1998
www.ilmessaggero.it/
Claudio bis duetta con Fazio
La coppia tv e i cinquantamila cantano ”Anima mia”
di Marco Molendini
ROMA - Sbollita la rabbia, Claudio può fare i conti della sua indigestione di popolo. Centotrentamila nei due concerti all'Olimpico (ieri sera c'erano cinquantamila persone), quasi cinque milioni (quattro e ottocentomila, per la precisione) incollati per tre ore e dieci a Raidue e chiusi in casa nonostante i bollori dell'estate: il 27 per cento della platea televisiva. Quanto basta per essere felici e dimenticare stizze e dispiaceri dell'insana follia burocratica (con il sacro prato ancora vuoto per ostinati divieti). E quanto basta per appagare l'irresistibile inclinazione a sentirsi un po'moderno predicatore e un po' antico tribuno.
Un bagno di folla con uno spettacolo pensato con quel tanto di patologica mania di grandezza senza la quale non si possono affrontare le moltitudini. La musica ne soffre? Pazienza. Non si può andare allo stadio senza giocare, senza inventare e cercare un po' di magia. Non importa se si paga qualche prezzo. Se lo spettacolo soffre la smisurata lunghezza (un taglio di mezz'ora avrebbe sicuramente portato dei giovamenti). Se qualche invenzione non funziona come dovrebbe: per esempio il numero di quella cosciuta ballerina con le tette al vento che si inventa odalisca e cerca di sedurlo in Uomini persi. Se quel manipolo di svogliate e pingui ginnaste del Coni fa soltanto tenerezza (e appare come un'involontaria parodia della esaltata perfezione dei film ginnici della regista tedesca Leni Riefensthal). Se nel lungo prologo a Questo piccolo grande amore si presenta in un imbarazzante abbinamento di copricapo e mantella. Se per fare spettacolo (e forse anche per riposarsi un po') è costretto a ricorrere brevemente al playback, come nella medley finale quando incontra Fabio Fazio: corre, si agita, canta senza accusare il minimo scompenso respiratorio. E', comunque, un peccato veniale (giustificato anche da motivi tecnici), pochi istanti, un piccolo aiuto del tutto normale in molti concerti-maratona.
Tutto ciò (palloncini, fuochi, tette, playback, perfino i predicozzi che Claudio infila fra una canzone e l'altra), in fondo, ha poca importanza. Gli ottantamila, i cinquantamila, i cinque milioni sono uno straordinario segnale della capacità di comunicare (come i cinque miliardi di entrate fra biglietti venduti e diritti tv pagati dalla Rai).
L'ex timido Baglioni ha bucato il muro, si è misurato coi grandi numeri e ha vinto. Il suo è il concerto della stagione e, se qualcuno ha voglia di dubitarne, vuol dire che accusa le insidie del caldo. Poi, per onestà, va detto che ha sfruttato l'occasione (di questo debutto assoluto all'Olimpico, quasi uno stupro, vista la resistenza che il Coni ha offerto prima di cedere) con tutto l'impegno possibile: un palco che è riuscito, almeno in parte, a colmare il vuoto pneumatico di quell'immenso prato vuoto. Un impianto acustico efficente, potente e fedele. Una band impeccabile. E nel bis ha ripetuto il suo rito. Altre tre ore di esercizi e musica, di balli e cori, luci e luccichii.
Stesso menù, stessi ospiti (Fabio Fazio e il figlio Giovanni), con una sola, acclamatissima aggiunta, Anima mia, omaggio agli anni Settanta, a Fazio che sale sul palco e si unisce al coro con lui, al potere della tv e a se stesso. Per il resto, il lungo rosario delle sue canzoni all'italiana, morbide, melodiche, sentimental-popolari: trentatrè, dalla ingenua Porta portese alle più riuscite come Vivi, Mille giorni di te e di me, E tu, Poster, Questo piccolo grande amore, Via, fino all'inno scritto per la nazionale di calcio, Da me a te. Quanto basta per saziare anche il più insaziabile dei baglioniani.
segnalato da Caterina