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Rassegna stampa - domenica 10 dicembre 1995 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Epoca - 10/12/1995

Dopo cinque anni di silenzio torna il cantante più amato dai giovani. Lancia il suo nuovo disco suonando nelle caserme e negli autogrill e conquista subito la vetta della hit parade.
E pensare che avevo paura…
Il segreto di Claudio Baglioni? Canzoni senza poesia. Parola di cantautore.

di Claudio Baglioni

Devo essere sincero? Bene, allora lo dico: non era paura quella che ho provato il 28 agosto, quando il produttore è venuto a prendersi il master di Io sono qui per portarlo in Olanda a farlo stampare, era disperazione. Capita di sentirsi un po' spersi quando si finisce qualcosa in cui si è messo molto di noi stessi, ma la mia, non esagero, era vera disperazione. Tecnicamente il master è un oggetto banale: il nastro digitale definitivo. Per un cantante è la grande madre di tutte le cose che poi arriveranno. Nel mio caso, però, quella scatoletta conteneva molto di più che i diciotto "pezzi" di Io sono qui: cinque anni di lavoro, tre di lontananza dal pubblico (l'ultimo mio concerto dal vivo risaliva al 1992), e poi fatica, esperimenti, dubbi. Anche momenti esaltanti, certo. Ma soprattutto rinunce, troppe persone trascurate... Consegnando il master, mi giocavo un pezzo di vita. Quella mattina, partito il produttore, sotto la doccia mi sono accorto che avevo consumato un'intera bottiglietta di bagnoschiuma. Lavato di tutto, ho pensato: ecco, adesso è davvero finita, si ricomincia.
Venivo da un periodo durissimo. Negli ultimi tre mesi io e il mio gruppo avevamo dormito una media di tre-quattro ore a notte, sempre con l'ansia di non aver dato il massimo. Mi domandavo continuamente: sono stato sincero o ho bluffato? Sarà un capolavoro o una schifezza? L'ultimo periodo, poi, era stato particolarmente terribile perché proprio nei giorni di registrazione delle parti cantate la mia voce aveva deciso di sparire.

La voce di Mario Del Monaco.
Nulla di irrimediabile: un'ipertrofia a una delle due corde vocali dovuta a un antico difetto di respirazione. Ma quante volte, prima della diagnosi, mi ero detto: sarà un fatto emotivo, psicosomatico. Succede. Non per niente in uno dei miei sogni ricorrenti salgo sul palco e non esce la voce, prendo la chitarra e non ha le corde.
La voce è uno strano strumento. Richiede disciplina. Non dimenticherò mai quella volta che capitai seduto accanto a Mario Del Monaco. Emozionatissimo, io cantantino di musica leggera lo ascoltavo parlare con un filo di voce: il grande tenore la risparmiava. Conosco il terrore di perderla, specie nelle tournée. Quando sono in giro per concerti, la prima cosa che faccio al risveglio è provare se c'è ancora. E quando si corre verso il teatro o il palasport, in macchina la controllo sino all'ultimo: urli, vocalizzi. E diventato una specie di tic.
Controllare la tensione è sempre un problema. Direi, anzi, che il problema vero quando si compone è creare le condizioni più adatte a concentrarsi. Io, per esempio, non vivo più a Roma perché nella mia città (per via degli amici, dei ristoranti...) ho l'impressione quasi di non lavorare. Mi sono trasferito ad Ansedonia, che è invece una specie di isolotto in cui mi sembra, o forse mi illudo, di diventare più creativo. Ma anche all'Argentario capita di impantanarsi, di sbattere la testa al muro. E allora, sai che faccio? Esco, vado a passeggiare, desidero l'interruzione del pranzo o della cena come si può desiderare il pane. Sempre meglio questo, comunque, della follia degli studi di registrazione.
Fortunatamente, di Io sono qui in studio avrò registrato sì e no il 30 per cento. Dico che è stata una fortuna perché questo è un disco particolare. Contiene brani molto diversi tra loro, ha una scansione di tipo cinematografico e, pur non essendo un'opera sperimentale, tenta alcuni esperimenti. Quando l'ho cominciato, non immaginavo dove sarei arrivato. Dice bene Tommaso Vittorini, che ha curato l'orchestrazione: l'artigiano e l'artista si assomigliano, in realtà sono molto lontani. E la differenza è che l'artigiano sin dall'inizio sa quasi sempre dove va a finire, l'artista quasi mai.
Trenta lunghissimi giorni tra la consegna del master, 28 agosto, e l'uscita del disco, 28 settembre. In quelle quattro settimane per la testa mi passava di tutto. Ho cominciato a rilassarmi solo il 23 settembre, a Castelluccio di Norcia, prima tappa del piccolo tour nell'Italia centrale in cui per la prima volta ho proposto i nuovi brani. Lì ho cominciato a pensare che forse "era andata". Ma da affrontare c'erano comunque altre cinque tappe, una conferenza stampa (il 26 settembre) con decine di critici musicali, l'impatto con il mercato, i primi dati delle vendite...

Una concorrenza spietata.
Il primo esame, chiamiamolo così, quello di fronte ai discografici, manager e maestranze della Sony, non è che mi avesse granché convinto. In queste occasioni c'è sempre un'atmosfera un po' cerimoniosa. Tutti dicono: "Bello, bello". E tu sospetti che pensino: "Così così". Tra l'altro i discografici, da un cantante abituato a vendere tanto, per non rischiare vorrebbero sempre lo stesso disco. Io sono qui è invece molto diverso dai precedenti, anche dall'ultimo, Oltre, che già era abbastanza innovativo. Quindi c'era parecchia tensione nell'aria.
Le perplessità dei discografici le capisco. Corrispondevano ad altrettante domande che io per primo negli ultimi mesi mi ero fatto. Per esempio: cinque anni non saranno troppi tra un disco e l'altro? E' giusto prendersi tanto tempo? Sì, potendo è giusto, mi sono risposto, anche perché con Io sono qui non intendo muovermi lungo una mappa geografica riconoscibile. Vorrei, se possibile, andare al di là della forma-canzone tradizionale: infilarci il linguaggio del cinema, qua e là azzardare dei colpi di scena, usare i rumori del nostro quotidiano.
Altro dubbio, condiviso dai discografici: perché tanta attesa, col risultato di andare sul mercato contemporaneamente a concorrenti temibili come Venditti, Bennato, Vecchioni, Paolo Conte, Morandi, Carboni, Renato Zero? Una concomitanza micidiale come quella di questa stagione non si era mai verificata. Ma che farci? Fa parte del gioco, in fondo.
Speriamo che Io sono qui arrivi comunque a destinazione, pensavo. Che mi perdonino l'errore dell'anno scorso, quando l'annuncio dell'imminente uscita del disco creò un'attesa destinata a durare altri dodici mesi. Che capiscano anche il silenzio (nessuna intervista, nessuna anticipazione) che mi sono imposto sino all'ultimo. Speriamo, pensavo, che non abbiano ragione quelli che dicono: il tuo pubblico, caro Claudio, i "baglionisti", non accetteranno l'assenza di brani orecchiabili, canzoni tipo Piccolo grande amore, così come faticheranno di fronte a nuovi testi così criptici.
Già, il "baglionismo". Vogliamo parlarne? Certi critici mi hanno sempre accusato di sermoneggiare, di fare il Messia, quando canto. Come se non sapessero che di fronte a 60 mila persone in uno stadio sembri il Papa anche se dici solo "buona sera". E anche il mezzo che fa i divetti o i divoni della situazione. Il fatto è che gli stessi che criticano poi telefonano per chiedere: cosa metterai sotto l'albero di Natale? Che ne pensi del nudo maschile? E della guerra nella ex Jugoslavia? La verità è che io questo uso perverso della propria personalità, questo far parlare sempre le stesse cinquanta persone, a costo di sembrare scontroso o snob, non l'accetto. Quanto ai "baglionisti", bisognerebbe chiedere a un sociologo. Ma se ne esistono ancora, non saprei se lo sono più i conservatori di "quella sua maglietta fina" o quelli che mi spingono a cercare nuove strade come sto facendo.

Le cinque tappe della tournée.
I diecimila venuti ad ascoltarmi a Castelluccio di Norcia, sabato 23 settembre, tanto conservatori non erano. E dire che arrivando lì, due giorni prima, mi ero pentito di aver scelto per l'esordio quel posto dove nel 1971 avevo prestato la mia voce a Francesco d'Assisi nel film di Zeffirelli Fratello sole, Sorella luna. Chi ci viene in questo luogo così fuori mano?, mi sono chiesto. E invece sono arrivati in tantissimi, malgrado il vento gelido dei 1.500 metri. In cima al camion giallo attrezzato da palco, il mio carro di Tespi, non capivo più niente. Ho chiesto: "Ma chi ve l'ha fatto fare di venire? Mi sembra di essere arrivato davanti all'oceano e d'aver dimenticato come si nuota". Da anni non provavo un'emozione così intensa.
Il giorno dopo ad Assisi era in programma la marcia della Pace. Castelluccio è a due passi. Riflettevo: fare musica gratuitamente sarà come offrire a chi marcia il ristoro di un bicchiere d'acqua o di un mezzo panino. Però mi domandavo: non si penserà che faccio il furbo, che speculo su problemi seri per un po' di pubblicità? Ho accettato, alla fine, perché questo è un dubbio che si risolve solo col silenzio definitivo. E neanche questo è giusto. Lunedì 25, terzo giorno del tour area di servizio di Barberino di Mugello. Concerto per i camionisti in sosta per il pasto: dapprima pochi, poi sempre di più, avvertiti con le ricetrasmittenti. E mentre gli automobilisti avvicinavano i telefonini cellulari all'impianto acustico dicendo: "Non ci crederai, senti chi c'è", altri Tir continuavano a riempire il piazzale. Stavano lì il tempo di due o tre canzoni, facevano manovra e tornavano al lavoro. Sembrava un pezzo di Texas, una situazione talmente buffa che mi sentivo come un bambino che ha giocato con le automobiline.
Quarta tappa, il 27, nella caserma Piave di Orvieto. Intimoriti dagli ufficiali, i giovani sembravano impalati. Al quarto brano li ho presi di petto: "Io il militare non l'ho fatto perché ci vedo poco. E sono contento, perché se la caserma riduce così...". Si sono scatenati: spinte, caroselli, cappelli per aria. Il giorno dopo siamo a Siena, dove il nostro camion giallo è riuscito a occupare Piazza del Campo. C'era qualche timore, ricordavamo le polemiche di qualche anno per l'esibizione dei Pink Floyd a Venezia. E invece: 35 mila persone e nessuna protesta. Omar Calabrese, l'assessore alla Cultura, era soddisfattissimo, prova che quando si usano le dovute prudenze nessuno spazio è tabù.

Sono solo canzonette.
Il 30 il tour doveva finire. Dove? Qualsiasi viaggio dovrebbe terminare al mare perché è poi dal mare che si riparte per andare verso qualche altra destinazione. E allora ho scelto Ostia, il mare di Roma, il mio mare da bambino. Volevo suonare un pomeriggio al tramonto col mare alle spalle. Sono arrivati in 70 mila.
La disperazione? Dimenticata. E neanche più paura: nel primo week-end il disco l'avevano acquistato a scatola chiusa in 300 mila. Da otto settimane Io sono qui oscilla tra il primo e il secondo posto dei più venduti. Persino la critica per la prima volta, è stata quasi unanime. Lo dico con pudore. Perché adesso il problema è non tradire questi due ultimi anni di lavoro. C'è bisogno di lottare contro la fretta, la mancanza di attenzione, la poca cultura. Contro tutto ciò che può suggerire partecipazioni televisive inopportune, fotografie che non c'entrano niente, promozioni stonate. L'arrangiamento del disco non deve fermarsi al disco stesso, anche se, come dice qualcuno, sono solo canzonette. A proposito: sull'Unità, al suono di E ora dividiamoci su Baglioni, qualcuno ha scritto di non ritenere le mie canzoni "il massimo della poesia". Io gli dico che le canzoni sono fatte di parole e di musica, e non ha senso giudicarle separatamente. Ma anche che non essendoci più tanta poesia, intendo poesia letteraria, non poesia della vita, adesso la si vuole sostituire con le parole delle canzoni. Ma così non va bene.

(testo raccolto da Carlo Zanda)


segnalato da Enrico

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