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Rassegna stampa - domenica 3 maggio 1992 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Donna Moderna - 03/05/1992
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Incontri
Claudio Baglioni un ragazzo d'oro

Ama le sfide e da 20 anni convive con il successo. Ma ritiene ancora di doverlo conquistare giorno per giorno. Il suo problema? Confrontarsi sempre con se stesso. Tenace e desideroso di libertà, egoista e autocritico, soprattutto sincero.

di Sergio Parini

E' uno dei cantautori più amati d'Italia, il portavoce dei sentimenti e dell'importanza delle piccole grandi cose quotidiane. Una carriera straordinaria, la sua, durante la quale ha raggiunto traguardi che molti artisti non potrebbero sperare neppure nei loro sogni più grandi: un suo pezzo, Questo piccolo grande amore, è stato dichiarato canzone del secolo, le sue tournée hanno sempre battuto tutti i record di spettatori e i suoi dischi, da E tu a Solo, da Strada facendo a Alè-Oò, da La vita è adesso a Assolo, sono sempre stati in vetta alle classifiche. Ma lui, Claudio Baglioni da Centocelle, nato un 16 maggio di 41 anni fa da un padre maresciallo dei carabinieri e da una madre casalinga, sembra non essere mai soddisfatto. Ha bisogno di continue sfide, di nuovi traguardi da raggiungere. Anche il suo ultimo album insolito e difficile, ricco di musiche bellissime, è stato un passo oltre. A qualcuno, a dire il vero, è sembrato persino un passo falso, ma Claudio è riuscito a trasformarlo in una ennesima vittoria: 800mila copie vendute, e ora un tour lunghissimo (proseguirà sino all'estate, prima di spostarsi all'estero) che registra sempre il tutto esaurito e incanta pubblico e critica. Claudio, il timido Claudio, ha accettato in questa intervista a Donna Moderna di confessare i suoi dubbi e i suoi difetti, le sue speranze e le sue angosce.

Baglioni, visto il successo straordinario del tour, potremmo anche chiamare questo spettacolo "Baglioni 2: la vendetta", vendetta contro chi le aveva dato addosso per Oltre.
"Forse per egoismo, non riesco a vendicarmi di niente. C'è piuttosto meraviglia e soddisfazione nel constatare che le critiche (alle quali tengo molto, non ne ho mai persa una da quando ho iniziato a cantare) sono molto buone e molto attente. E poi c'è il pubblico, che mi regala gratificazioni enormi. Credo che sia anche merito della mia nuova veste sul palco: adesso rido e scherzo con il pubblico".

Insomma, è riuscito a trasformare quello che poteva essere un insuccesso in un trionfo. Lei è molto caparbio?
"Sono tenace, più che ostinato. Ma se mi fossi accorto che si trattava di una battaglia persa dall'inizio, probabilmente mi sarei arreso. Mi hanno accusato di avere fatto un disco troppo elaborato, troppo pensato. Ma è vero proprio il contrario: Oltre è intimo e ingenuo. Ora, anche grazie ai concerti, finalmente ho dei riscontri positivi persino dalla critica più colta. Confesso che mi fa molto piacere".

Lei ama le "sfide impossibili". Perché questo bisogno di mettersi sempre alla prova?
"Io ho avuto un successo enorme quando avevo 20 anni, e da allora l'ho mantenuto sempre. A un certo punto viene fuori la domanda: ma è tutto oro quel che cola? Me lo merito? E allora ti metti in testa di fare qualcosa di particolare. E siccome io non ho il senso della misura, esagero. Però adesso le imprese titaniche sono finite. L'esperienza dell'anno scorso, quando ho fatto spettacolini nelle discoteche e nelle piazze, mi ha fatto capire che non è necessario ogni volta scalare le montagne".

In questa voglia di misurarsi con se stesso, le sue origini quanto hannocontato?
"Moltissimo. Io sono nato musicalmente in un momento di confine. Negli anni Sessanta c'era una musica di puro intrattenimento. Ho cominciato quando quel fenomeno era alla fine, ma un po' prima rispetto all'avvento dei cantautori e dell'impegno. Non ero né di qua né di là, e non mi sentivo un vero cantautore".

Lei viene da una borgata di periferia: questo ha inciso sulle sue scelte musicali?

"Buona parte dei miei colleghi cantautori romani ha un'estrazione borghese: molti di loro, negli anni Settanta, hanno sentito il bisogno di allontanarsi da quelle radici per andare “verso il popolo”. Io invece stavo a Centocelle, in mezzo alle macerie e ai guai. E la mia ambizione era scrivere serenate per piacere alle ragazze. Poi ho scritto anche altro, ma questa origine conta, non si cancella. Spesso ho avuto voglia e bisogno di un riscatto di ricevere un'attenzione maggiore".

Però ha sempre privilegiato i sentimenti.
"Ma solo perché era un terreno su cui mi sentivo più a mio agio. E poi non è affatto facile parlare dei sentimenti. E più facile comporre slogan, del tipo “non ce la faccio più”, oppure “abbasso il razzismo”. Il sentimento è una cosa talmente lieve, è un cristallo attraverso il quale devi saper guardare".

A proposito, negli ultimi anni ha scritto ben poche canzoni d'amore. Come mai?

"Negli anni Ottanta ne ho scritte due o tre. Mentre all'inizio avevo occasioni quotidiane d'amore, più si diventa grandi, più si acquista una specie di pudore nel raccontare questo sentimento, che resta un terreno fragile, dove ognuno di noi si scopre. In Oltre pero ho scritto tre o quattro canzoni d'amore che mi sono piaciute. Il mio sogno è scrivere un giorno un intero album parlando d'amore".

La sua canzone più famosa, Questo piccolo grande amore, è stata scritta dopo un viaggio in Polonia che lei una volta ha definito "una grande esperienza che mi ha cambiato dal punto di vista umano e professionale". Ci vuole dire che cosa è successo in quel viaggio?
"E' successo che uno come me, un ragazzo di pianura che non era mai uscito di casa, al massimo aveva fatto Roma-Orvieto per andare dai parenti, va in un Paese straniero, fa un festival internazionale, vince il premio della critica e improvvisamente si trova ad avere un enorme successo, fa tournée, guadagna un sacco di soldi al punto da poter invitare a cena 300 persone. Io che a Roma non riuscivo ad andare in pizzeria con gli amici. Respiravo quest'aria vetrosa di romanticismo, di tristezza, che a quel tempo mi si confaceva pienamente".

Ha mai pensato di restare laggiù?
"A un certo punto ho persino telefonato a mia madre e le ho detto: resto qui, è il mio mondo. Ma sono tornato di nuovo a Roma, dove ero uno sconosciuto. Avevo ripreso a studiare architettura, mi dicevo: è inutile che insegui il successo, tanto non arriva".

E poi cosa è successo?
"Ho fatto quel disco, convinto che fosse l'ultimo. E invece, il pezzo è arrivato secondo in classifica. Quando l'ho saputo, andavo in giro che sembravo un matto, fuori di me dalla gioia. Ma io quel successo non ho fatto niente per averlo, mi è arrivato tra capo e collo".

Lei è sempre molto autocritico, crede che sia questa la sua maggiore qualità?

"Quella a cui tengo di più è la forte consapevolezza di me che ho acquisito negli ultimi anni. In Oltre c'è una canzone, Pace in cui io parlo a un altro me stesso: quello a cui avrei voluto assomigliare, quello che non aveva mai problemi, sapeva far del bene a tutti, non deludeva nessuno. Ma so che quell'essere perfetto non esiste. Ora credo di avere fatto pace con me stesso, di essere meno competitivo nei miei riguardi".

E il suo peggiore difetto?
"L'egoismo. Forse sono più generoso nei rapporti pubblici che in quelli privati, perché ho la sensazione che affetti e amicizie si possono sempre recuperare. E invece non è cosi".

Che rapporto ha con sua moglie Paola e con suo figlio Giovanni?
"Ottimo. Ora poi con mio figlio, che ha 10 anni, va molto meglio, si sono allentate le tensioni che c'erano qualche anno fa".

Quali sono le donne che la affascinano di più?
"Quelle che mi fanno anche ridere, è questo che fa durare un rapporto. E poi ho bisogno di una donna che mi dia libertà, che non mi costringa a essere la spalla sulla quale appoggia la sua vita, o a essere il maschio da temere e da sconfiggere. Amo i rapporti belli, alla pari, dove ci siano anche delle sane lontananze".

Secondo lei qual è la sua caratteristica più apprezzata dal pubblico?
"Credo che sia la mia genuinità: la gente capisce che scrivo ciò che penso, che dietro ai miei testi c'è sempre il bisogno, magari ingenuo ma sincero, di verità".

Ed è cosi?
"Io ce la metto tutta".

Come si immagina Baglioni tra dieci anni?
"Penso che non farò più questo mestiere, o almeno non in questo modo. Il mio sogno, da sempre, è essere un musicista, suonare e basta".

C'è una canzone che le piacerebbe avere scritto?
"Una antica canzone napoletana che io canto solamente in momenti privatissimi: Reginella. Io avrei dato dieci, venti delle mie per averla scritta. E una canzone d'amore struggente. Straordinaria".


segnalato da Antonio

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