torna al menu |
|
Rassegna stampa - sabato 14 marzo 1987 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Radio Corriere TV - 14/03/1987
Claudio Baglioni Salviamo la canzone italiana
di Francesco De Vitis
"Vedi quante lettere? Qualche volta mi metto a leggerle ma non è detto che questa verifica porta a porta, persona per persona, sia sempre gratificante. Eppure è un modo anche questo per evitare la distorsione in un rapporto, quello tra un artista e il suo pubblico, che è già molto complesso".
Dietro una scrivania del suo ufficio romano, Claudio Baglioni, il cantautore più amato dagli italiani, misura le parole facendo attenzione a non sembrare troppo il primo della classe. L'ufficio è ancora in fase di allestimento, pareti nude, grandi spazi vuoti che inducono a una malinconia simile a quella delle case disabitate. Però il telefono suona quasi in continuazione e per tutti Roberta, la "voce" di questo Contatto con Claudio (si chiama così il filo diretto tra Baglioni e i suoi fans), ha una risposta, un'informazione, a volte soltanto una parola gentile di ringraziamento. "L'idea dell'ufficio è nata per due ragioni. La prima è l'esigenza di avere un posto dove stare insieme... dovrei dire per lavorare, ma questo è vero fino a un certo punto perché le persone che hai visto sono tutti miei amici e quindi il fatto di stare insieme è senz'altro la cosa più importante. La seconda ragione è quella di offrire un contatto informativo, dalle date delle tournée, visto che a volte sono stati annunciati miei concerti senza che io fossi stato nemmeno contattato, al far chiarezza su certe pubblicazioni monografiche di dubbio gusto oppure sulle dichiarazioni riportate dai giornali. Quando il TV Radiocorriere titolò Non canto più, qui ci fu il panico".
Eravamo in settembre. Hai cambiato opinione?
"Quelle dichiarazioni le ho fatte in un momento molto particolare. Ero verso la fine della tournée, un'esperienza importantissima. Innanzitutto perché ho trovato un grande aiuto in questo mestiere: il sapere che già il contatto con una chitarra, con un pianoforte, con gli accordi delle mie canzoni, era una verità in un mondo in cui non sai mai dove appoggiarti. Specie se poi arrivi abbastanza in alto. Vendere un milione di copie in Italia è un dato abbastanza difficile da analizzare, che ti mette addosso delle responsabilità enormi. Dici: e la prossima volta che faccio? Perché, se ti basi in termini solamente numerici, vendere novecentomila copie è già un insuccesso. Ci sono state delle sere in cui il dispiacere di vedere quant'era difficile fare uno spettacolo diverso è stato grande. Poi c'è l'annoso problema delle strutture che viene continuamente scavalcato e che è invece quello più grosso, tanto è vero che recentemente, durante una trasmissione televisiva dedicata all'industria della musica, ho ribadito la mia intenzione di non cantare più in pubblico soprattutto se non ci saranno strutture adeguate, in grado di garantire la qualità dello spettacolo e la tranquillità di chi è venuto a vederlo. Secondo me non ci vorrebbe tanto a costruire degli spazi, magari polivalenti, non solo per la canzone ma anche per i balletti, per il cinema. Strutture a parte, su quell'intervista pesava anche l'amarezza di fine tournée. Ricordo, però, che dopo averla fatta avevo ripreso la mia chitarra e mi ero quasi dimenticato di tutto. Anche in questo momento sapere che dentro al fodero c'è una chitarra, sarà una soluzione bucolica, romantica, ma mi tranquillizza".
E cos'è che non ti fa essere tranquillo?
"Credo che bisogna temere sempre più per la creatività che non può che nascere da alcune radici, da alcune tradizioni. Ora, forse, non ne abbiamo di così forti, di così autentiche, però io penso che specialmente i nuovi autori dovranno sempre più omologarsi al mercato, abituarsi a scrivere in una maniera "ascoltata", influenzata giorno per giorno. E mi chiedo: ma la discografia italiana, che dice di essere in crisi, dove troverà ancora i soldi per investire sui nuovi talenti italiani, per crederci, portarli avanti, per affermare questa benedetta canzone italiana appena appena un po' più fuori? In questo c'è un piccolo bisogno di fierezza: va bene che questa di scrivere canzoni non è un'arte grande, forse è più un artigianato, un episodio quotidiano di sonorità, ambienti, ricordi, piccoli divertimenti, però è anche vero che chi la fa, gli autori, i cantanti, chi comunque fatica all'interno di un progetto musicale, non mette meno rispetto, che so, a un musicista classico o a un altro artista che faccia un dipinto o una scultura. Ci mette, credo, la stessa partecipazione e probabilmente la stessa genialità nel suo campo, la stessa inventiva. Così anche quest'industria discografica, che ha degli scompensi assurdi, che si muove in maniera impacciata, è pur sempre un'industria, con i dirigenti, i dipendenti, gli uffici e i telefoni. E allora come mai quando si parla della canzone, dei cantanti italiani, ci si immagina un'Armata Brancaleone, un gruppo di persone che escono di casa e si ritrovano tutti la sera... sembra che non ci sia niente. E una tiratina d'orecchi alla classe dirigente che pensa poco al cuore della musica e litiga per i pulsanti dei citofoni".
Ma quali sono le tradizioni italiane a cui bisognerebbe rifarsi?
"Una ce l'abbiamo, questo melodramma che ancora nel mondo rappresenta un grande momento non solo di musica ma anche di teatro cantato, quello che poi è stato ripreso dai grandi scrittori di commedie musicali americane in maniera diversa, più moderna. Noi abbiamo completamente lasciato il passo, ma non per questioni di lingua perché la nostra lingua italiana è rispettabile quanto qualsiasi altra, soprattutto se dobbiamo badare, come si dice, alle sonorità. Comunque sarebbe interessante un insieme di persone che cominciassero a progettare un tipo di musica una volta tanto non solo legata a una canzone, poter pensare che collaborando con persone che si intendono di messa in scena, di luci e via dicendo, si possa fare una ricerca complessiva attraverso vari artisti che non siano solo di musica e creare, chissà, un nuovo teatro cantato, approfittando del potenziale artistico di stilisti, registi, sceneggiatori che ci sono in Italia. Lo scorso anno ho cercato una maniera diversa di esibizione, sperimentando trovate tra l'artigiano e l'elettronico per fare Assolo. Mi è sembrata una ricerca bella e se riuscissi a farla anche in altre direzioni, insieme a qualcun altro, potrebbe essere una buona strada da percorrere. Ne potrebbe venir fuori un nuovo tipo di spettacolo dal vivo, una specie di video in tempo reale, trovando proprio la maniera di superare lo stesso bisogno della pellicola, del mezzo elettronico".
E' un'idea molto interessante. Sembra invece che il video non ti interessi troppo. Come mai?
"A dire il vero il primo filmato io l'ho fatto addirittura nel '69. Fu per Signora Lia, se non sbaglio. Ci portarono a Focene, con un furgone, il classico mare d'inverno che però non c'entrava niente... un tempo si facevano queste cose, eravamo molto più allegrotti e superficiali. Insomma mi dissero: canta questa canzone e cammina sulla sabbia. C'erano gli operatori che, questa è bella, avevano fatto Ben Hur, i film con le bighe, i leoni e si ritrovavano a riprendere questo cantante... comunque era un video vero e proprio, fu anche trasmesso in televisione. Ma allora non si parlava minimamente di videomusica. In realtà io credo che bisogna vedere che cosa hai scritto. Ci sono delle canzoni che probabilmente non risentono di una semplificazione visiva, altre che nascono già con la voglia di raccontare immagini. La tentazione l'ho avuta, molte volte, ma, credo che il concetto di video sia già sorpassabile... può essere utile a scopo promozionale, per garantire una presenza televisiva studiata a priori, specie se l'alternativa è andare in un programma-contenitore come oramai sono quasi tutti. Non credo più all'artista disinvolto, capace di cavalcare qualsiasi tigre, di essere a suo agio in qualsiasi situazione. Il mezzo televisivo viene usato come una lavatrice in cui passa tutto e l'ospite è una porta che si apre e che si chiude. Allora è difficile entrare lì dentro e avere un attimo di pace, di rabbia, di energia che però sia realmente comunicativa. Io credo che il dovere di uno che si chiama artista, se non altro perché nei contratti viene specificato così, sia quello di esserlo quasi sempre, in televisione come in un'intervista. Spesso si rischia di fare una presenza che non è utile a nessuno, che serve per affermare che un altro prodotto, un libro, un film, un disco, è uscito. E allora vieni meno al diritto-dovere di
esibirti realmente".
È vero che ti senti attratto dal cinema?
"Sì, in un certo senso...".
Hai ricevuto offerte?
"In questi anni è successo, anche di recente... parti da protagonista. Devo dire che la cosa mi incuriosisce però credo che sia una trasformazione particolarmente difficile per un cantante. Pochi, tra quanti l'hanno tentata, sono riusciti. Poi può nascere un'ambiguità difficile da affrontare: recentemente ho incontrato il manager di Barbara Streisand e mi ha raccontato come lei, che si ritiene fondamentalmente un'attrice, al punto da rischiare spesso in proprio nella produzione dei suoi film, sia in realtà più considerata, dal pubblico e dallo show business, come cantante. E' un passo da ragionare con calma, però sotto sotto mi piace l'idea di confrontarmi con questo mondo del cinema".
Diventerai presto attore?
"Sto seguendo un progetto estremamente grosso, per questo sono un po' imbarazzato nel parlarne. Niente di definitivo, però la cosa sembra offrire le garanzie necessarie. Io non ho ancora deciso, questo lo dico per evitare equivoci e aspettative in tempi brevi".
In realtà tu con il cinema ti sei già confrontato, all'inizio degli anni Settanta, componendo e cantando per la colonna sonora di Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli...
"Era un momento particolare perché stavo annaspando verso il finale di una carriera che praticamente non era mai cominciata. Venne fuori questa possibilità. Era la prima volta che mi accostavo a quell'ambiente, e anche a un rappresentante qualificato, mitico, perché Zeffirelli aveva da poco fatto Romeo e Giulietta. Ricordo il grande fascino delle prime musiche che ascoltai e che poi, non so perché, non furono utilizzate: erano di Donovan, che aveva fatto cantare cori di frati e suore. Zeffirelli è un grande musicista in senso istintivo e un esperto incredibile, tant'è che le ultime cose che ha fatto sono film musicali secondo la miglior accezione del termine. Ci furono momenti di grande emozione, come la scena della Porziuncola...
Suona il telefono. Baglioni scambia qualche parola con Paola, la moglie, e saluta il figlio Giovanni. Restituito alla sua intimità familiare, Claudio può anche smettere per un po' di essere artista.
Come viene su Giovanni?
"Bene, grazie. E un bambino un po' riservato, gli piace stare sulle sue, non è di quelli che ti riempiono di tenerezze. Io, qualche volta, ci resto un po' male
".
Strana generazione questa che ha avuto padri severi e ora ha figli severi.
"A modo nostro siamo stati anche noi figli severi e lo siamo, e talvolta saremo severi anche noi con i nostri figli. Spesso ci capita di dare di meno proprio alle persone più vicine, a quelle alle quali vogliamo più bene".
Sai che per la cerimonia nuziale in Campidoglio molti fanno suonare Questo piccolo grande amore?
"Davvero? Pensa un po' i guai che posso aver combinato! Scherzi a parte si tratta di una di quelle canzoni che finiscono per avere un'autonomia propria. Da quando poi è diventata la canzone d'amore del secolo, grazie a un sondaggio legato al Fantastico di due anni fa, è particolarmente sotto tiro. Molti, ad esempio, non hanno digerito la nuova versione che ho fatto per Assolo. Riguardo al sondaggio confesso che, pur trattandosi di un episodio solo simbolico, arrivare secondo o terzo mi sarebbe dispiaciuto".
Sempre a proposito di Questo piccolo grande amore, c'è chi sostiene che, magari con altre parole, potrebbe sostituire l'inno di Mameli. Che ne pensi?
"Onestamente l'inno nazionale, detto impropriamente di Mameli che è solo l'autore del testo, mentre la musica è del maestro Novaro, non è gran cosa, una melodia molto monotona, ripetitiva, nemmeno tanto facile da cantare. In realtà credo che non sarà mai cambiato e, nel caso si decidesse di farlo, c'è già in panchina il Coro del Nabucco di Verdi".
segnalato da Antonio