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Rassegna stampa - venerd́ 4 maggio 1984 ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001

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Pubblicato su Il Messaggero - 04/05/1984
www.ilmessaggero.it/


E ora c'è il disco


di Claudio Baglioni

Venerdì 17 febbraio dell'anno bisesto '84 cominciavo con scrivere questi piccoli articoli sul Messaggero. E meno male che non sono affatto superstizioso se no, hai capito, che inizio! Ho passato così una dozzina di settimane scribacchiando sul Festival di Sanremo immarcescibile e fedele nei secoli; sulla musica colta, la musica seria e la musica "incolta" e zuzzerellona chiamata leggera; sulla lite sempiterna e gallinacea tra artisti e discografici e sulle raccolte e le compilations che le case di dischi producono e che fanno sempre di più, tant'è che fra un po' ci troveremo a chiamarle case di "mischi"; sulla ricerca ossessiva del look e del travestimento, perché il mama "look", il "come mammeta t'ha fatto", non è più sufficiente; sulla moda dei video, sulla promozione in tivvù del promoter infaticabile e sui cantanti-pesci in playback, delle lunghe ammucchiate canore; sulla difficoltà ogni giorno di più esasperata di ottenere gli spazi per fare spettacolo e sulla lotta per le classifiche; del traguardo troppo facilitato del disco non più punto di arrivo per l'artista novello bensì punto d'arrivo, di partenza; della musica popolare italiana troppo poco esportata e men che meno considerata da una classe politica assai disattenta; della proliferazione cantautorale degli anni 70; della creatività e degli orrori di quel tempo di grandi speranze. E dopo aver parlato di questo e di altro, dei pubblici vizi e le private virtù del mondo in cui vivo, adesso, è arrivato per me il momento di incidere un disco. Di mettere nella valigia vestiti e canzoni e partire. L'ultima volta tre anni e spiccioli fa, fu l'Inghilterra. Per Strada Facendo. Piovve sempre, il rancio era terribile e pure abbondante, ma venne un buon album. A dire il vero, l'inizio fu un po' problematico per via di un doganiere di lì, con l'occhio porcino e il ciuffo di gomma piuma, che mi fece un check-up completo cercando non so quale cosa. Restai per mezz'ora, chiuso dentro una stanza e nudo con le mani in saccoccia, alla mercé del sadico albionico che faceva domande e domande, provandomi a ricordare tutto l'inglese che conoscevo delle canzoni. Il cantante è un poi come il lupo. Anche in drammatiche vicissitudini perde il pelo (l'abito, nel caso mio) ma non il vizio. Così ci risiamo e il mio passaporto, penso, si riempirà di altri timbri stranieri. Questo appuntamento settimanale è arrivato alla fine e termina qui. Con il sollievo, credo, dei redattori e tipografi di questo giornale che hanno sempre dovuto aspettare gli articoli fino all'ultimo istante. Li ringrazio di cuore. E ringrazio anche chi li ha seguiti, questi "pezzetti", spero, con attenzione e benevolenza.
"Forza che dobbiamo fare ancora un poco di strada" diceva mio zio a me piccoletto, 5-6 anni, e tagliava un ramo più dritto di altri e ne faceva un bastone. Poi, me lo teneva fermo con le due mani mentre io lo montavo a mo' di cavallo e partivo. Facevamo chilometri, passando per campi, i grandi parlavano e a volte cantavano e cantavo anche io, raggiungendo i poderi degli altri parenti. Senza stanchezza che tanto ci avevo il destriero e potevo incitarlo, se vedevo che s'era ammosciato.
Ne abbiamo fatta tanta di strada, zio, e tanta ancora ne abbiamo da fare. E sia sempre lieve come avere tuttora quel ramo tagliato che ci porta lontano. Per questa strada che resta, buona fortuna. Che ce n'è sempre bisogno e che non basta mai.

segnalato da Cristiana

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