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Rassegna stampa - domenica 19 dicembre 1982 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Famiglia TV - 19/12/1982
Claudio Baglioni
Il racconto della mia vita
di Claudio Baglioni
Come diventai un musicista a tempo pieno
2^ puntata
"Questo piccolo grande amore", l'album che mi ha dato il successo, è stato un LP molto sofferto nella sua costruzione. Infatti, come già vi ho detto nella precedente puntata, dopo la negativa esperienza del Festival di Venezia, avevo deciso abbastanza seriamente, di lasciare il mondo musicale, convinto di dover cercare la mia realizzazione in qualche altro campo. E invece ci furono due fattori che mi fecero tornare sui miei passi. Prima di tutto il mio carattere che non ne voleva sapere di dire basta e in secondo luogo, un lungo viaggio che feci in Polonia che mi aprì nuovi orizzonti e nuove prospettive.
L'anno era il 1971 e insieme a Tonino Coggio e ad alcuni altri amici, stavo mettendo a punto le registrazioni di "Questo piccolo grande amore". In quel periodo non eravamo mai contenti del nostro lavoro e provavamo e riprovavamo per cercare di trovare le sonorità giuste per il disco. D'altronde, un po' tutti, a cominciare da me, sapevamo che avremmo dovuto fare un buon prodotto altrimenti saremmo andati incontro ad un nuovo fiasco (tipo Venezia, per intenderci).
Polonia, Paese meraviglioso.
Proprio in quei mesi di prove e riprove, venni contattato da un'agenzia polacca che mi propose di fare una tournée nel Paese dell'Est europeo. Sin dall'inizio, questa agenzia mi dette una sensazione di efficienza e di serietà e subito cominciai a prendere in considerazione l'ipotesi di tentare l'avventura all'estero. L'invito mi era stato fatto per partecipare ad un Festival internazionale durante il quale si sarebbero esibiti cantanti di tutto il mondo, tra cui alcuni notissimi (Joan Baez, per esempio). Come venni a conoscenza dell'importanza della manifestazione, caddero le ultime reticenze e accettai di buon grado il viaggio in Polonia.
In occasione della mia partecipazione al Festival polacco, per la prima volta (ed è forse rimasta l'unica), mi presentai sul palcoscenico con giacca e cravatta, dato che l'organizzazione lo aveva (molto gentilmente) preteso. Non me la sentii di dire no a quella gente che dimostrava di svolgere il proprio lavoro tanto amorevolmente.
E così partecipai a questo Festival polacco e mi resi conto di essere entrato nelle simpatie di quel pubblico. La dimostrazione pratica mi venne di lì a poco quando venni richiamato sul palcoscenico per ritirare un premio che la critica locale mi aveva assegnato.
Per il Claudio Baglioni di quell'epoca, un ragazzo che fino ad allora non si era mai spostato da Roma se non per andare a Milano e Venezia, questa esperienza polacca stava diventando giorno dopo giorno sempre più interessante. Mi offrirono di fare un lungo tour per tutta la Polonia e molto volentieri dissi di sì, visto che quella gente si stava comportando in maniera splendida nei miei confronti.
Poi venne la nostalgia.
Facemmo una lunga serie di concerti nelle principali città polacche cominciando con qualche problema (all'inizio la disorganizzazione era piuttosto notevole) e proseguendo poi con sempre maggiore efficacia ed affiatamento. In questo peregrinare per la Polonia ebbi modo di conoscere meglio quella magnifica gente che sono i polacchi. Soprattutto come pubblico sono l'ideale: durante il concerto non fischiano, non battono mani, stanno tutti attenti ad ascoltarti. Soltanto al termine della tua fatica esprimono il loro giudizio, ma sempre con molta civiltà ed educazione. Per me, abituato in quegli anni all'eterogeneo pubblico italiano, fu una novità positiva trovarmi di fronte a tanta gente così composta e competente allo stesso tempo.
Con il passare dei mesi cominciai ad affezionarmi sempre di più alla Polonia e ai polacchi e lentamente maturò in me la decisione di non tornare più in Italia. Compii i 21 anni in Polonia e in quel periodo ero convintissimo che il mio futuro si sarebbe svolto in quel Paese. Ma non avevo fatto i conti con quello che, in fondo in fondo, avevo dentro e che, piano piano, venne fuori e cominciò a farmi sentire la nostalgia della mia Italia. Sì, la Polonia era bella, ma con il passare del tempo cominciò a sembrarmi anche un po' insufficiente. E iniziai ad avvertire la sensazione di essere diverso da quella gente: le mie radici erano in Italia e questo non potevo dimenticarmelo. Così, un bel giorno, il "figliol prodigo" Baglioni decise di tornare nella sua penisola per riprendere quel discorso musicale che tanto bruscamente si era interrotto a Venezia.
L'insostituibile amore.
Il primo impatto che ebbi con il mondo musicale italiano non fu, nuovamente, dei migliori. E per dimostrarvelo vi racconto un piccolo episodio. A Roma organizzarono un Festival dell'Avanguardia e Nuove Tendenze che aveva come obiettivo quello di portare alla ribalta qualche nome nuovo. Non vi partecipai come protagonista, ma come semplice spettatore. E, purtroppo, mi resi conto che la situazione non era assolutamente cambiata rispetto a qualche anno prima. Sul palcoscenico di quel Festival si esibirono molti giovani e giovanissimi (Alan Sorrenti e il Banco del Mutuo Soccorso, fra i tanti) che prima che con il microfono dovevano fare i conti con un pubblico che in continuazione fischiava, interrompeva, gridava.
Per me, che ero fresco reduce da un'esperienza diametralmente opposta, questo ritorno alla realtà fu molto deprimente. Decisi, di nuovo, di abbandonare ogni velleità musicale e per qualche tempo mi misi da parte. Ripresi per un po' di tempo a studiare architettura, ma lo studio non era la cosa che maggiormente mi interessava. La musica, anche se mi aveva dato qualche delusione, rimaneva il mio grande ed insostituibile amore.
Il Toto e una chitarra.
Ancora una volta, quindi, decisi di tornare. Questo ritorno fu fermamente voluto da Toto Torquati che usò tutta la sua diplomazia per convincermi a prendere in mano nuovamente una chitarra. L'amico Torquati mi responsabilizzò ricordandomi tutte le energie e l'entusiasmo speso, non solo da me, ma da tutti gli altri, per la realizzazione di "Questo piccolo grande amore". Tornai, quindi, a fare il musicista, anzi, l'autore di testi. Per completare l'album, infatti, mancavano soltanto i testi dato che le basi e le musiche le avevamo già registrate prima della mia partenza per la Polonia. E a proposito di testi c'è da dire che l'esperienza polacca ha influito non poco sul mio modo di scrivere.
Prima del viaggio verso Varsavia e dintorni, ero stato a cavallo di molti stili e di conseguenza il mio modo di scrivere era piuttosto eterogeneo. Una canzone era diversa dall'altra e forse questo incideva sulla scarsa comprensibilità delle mie parole. In Polonia, al contrario, mi accorsi che pur non sapendo una parola della lingua locale, mi facevo capire abbastanza facilmente: due parole d'inglese, due di francese e qualche gesto mi avevano fatto comprendere da un pubblico che letteralmente non capiva una parola di quello che dicevo. Con questa realtà davanti ai miei occhi, cominciai a scrivere le parole per "Questo piccolo grande amore". Così feci questo disco con lo stile del linguaggio-parlato e del parlato-cantato. Parole semplici, forse anche banali, ma che non avevano nessun significato nascosto o pseudo intellettuale.
Credo che proprio questa chiarezza di linguaggio sia stata la causa principale del grande successo di "Questo piccolo grande amore". Finalmente il pubblico italiano mi aveva capito e per fare questo erano bastate poche parole, semplici ma efficaci. Il disco andò benissimo e in breve raggiunse le vette della Hit Parade rimanendovi per parecchie settimane. Ero felice e sentii dentro di me crescere la voglia di fare musica.
Una Rolls Royce a 2 cavalli.
Con i soldi guadagnati con il successo di "Questo piccolo grande amore" mi comprai la prima automobile della mia vita. Era una 2 cavalli, una macchina modesta se volete, ma che in quel periodo mi sembrava una Rolls Royce. In breve tempo divenne il luogo in cui mi rifugiavo, il posto dove mi nascondevo quando avevo bisogno di cinque minuti di tranquillità. Mi affezionai in maniera quasi morbosa a questo oggetto e ben presto decisi di dedicargli un disco. Eh si, vi sembrerà strano, ma le motivazioni per il mio terzo LP mi vennero proprio da questa 2 cavalli che in pochi mesi era diventata una costante importante della mia vita.
Così iniziai a scrivere nuova musica con la ferma intenzione che la 2 cavalli sarebbe stata la protagonista principale di questo disco. Ma, come avviene in molti casi, il progetto originario mutò strada facendo e la 2 cavalli divenne soltanto il filo conduttore di tutte le canzoni del mio terzo album "Gira che ti rigira amore bello" (anno 1973).
Lo realizzai insieme agli stessi amici che avevano collaborato ai miei precedenti lavori, anche se questa volta ci fu meno entusiasmo che nelle precedenti occasioni. Il disco tecnicamente venne meglio del precedente, ma sul piano della partecipazione personale risentiva, a mio parere, del minor entusiasmo che avevamo profuso rispetto a "Questo piccolo grande amore".
Evidentemente il pubblico avverti questo calo di entusiasmo e "Gira che ti rigira amore bello" ebbe, almeno inizialmente, un successo inferiore alle aspettative. Debbo confessarvi che risentii, specialmente all'inizio di questo bis mancato e provai una sensazione di inutilità e di grande confusione.
La delusione e il falò.
La delusione per il mancato successo, almeno rispetto alle aspettative, mi fece vedere la mia 2 cavalli come la causa di questo mancato bis. E per questo con un gesto molto appariscente decisi di liberarmene. La incendiai (sì, è proprio vero) e questa mia follia fu sfruttata anche a livello pubblicitario nonostante le mie intenzioni fossero ben diverse da quelle di farmi un po' di pubblicità gratuita. Ma il gesto di quel falò venne a rappresentare una svolta importante della mia vita.
Con la scomparsa della 2 cavalli finiva un ciclo, voltavo pagina nel vero senso della parola. Questo "strano" amore che avevo avuto per la mia macchina si esaurì improvvisamente e da quel giorno tutte le automobili che ho posseduto hanno rappresentato soltanto un mezzo per spostarmi e nulla più. Il dopo di "Gira che ti rigira amore bello" fu un periodo che mi trovò nuovamente confuso e indeciso sul mio futuro. Decisi per un certo periodo di ritirarmi dall'ambiente musicale perché desideravo riflettere su quello che fino a quel momento ero riuscito a combinare.
La musica continuava ad interessarmi e così decisi di cercare altre angolazioni con cui affrontarla. Mi misi in testa, infatti, di provare a scrivere musica per teatro e colonne sonore. Attraverso la RCA, la mia Casa discografica di allora, mi misi in contatto con Garinei e Giovannini che, all'epoca, erano i veri santoni del musical italiano.
Il mio incontro con questi due personaggi non fu dei più felici. Mi parlarono di regole precise da seguire per comporre musica per teatro e così mi accorsi che quel mondo non faceva al caso mio.
A Parigi con Vangelis.
Tornai quindi sui miei passi con la voglia di fare musica, ma con le idee ancora non molto chiare. L'occasione giusta per tornare a fare le cose che mi interessavano mi si presentò quando decisi di fare un viaggio a Parigi. A Roma avevo conosciuto il fratello di Vangelis Papathanassiou che mi aveva proposto di trasferirmi in Francia per lavorare con il fratello al mio lancio su scala europea.
Non ci pensai due volte e partii subito per la capitale francese dove feci la conoscenza di uno dei personaggi più singolari che mi sia mai capitato di incontrare.
Vangelis Papathanassiou è la classica persona tutta genio e sregolatezza. E' un personaggio incredibile: componente per molti anni dei famosi Aphrodite's Child, suona decine di strumenti pur non sapendo leggere e scrivere la musica.
L'incontro con questa "rarità" fu determinante. Per ore ed ore e poi successivamente per giorni e giorni, ci ritrovammo tutti in studio a registrare, a fare musica con una naturalezza incredibile e con un grande affiatamento. Ricordo che in un pomeriggio riuscimmo a fare una ventina di versioni di uno stesso pezzo, trovando ogni volta uno spunto nuovo, un qualcosa di diverso che rendeva più caratterizzante il tutto. E così registrammo con molta libertà, con musicisti liberi di fare quello che volevano, su una base ritmica realizzata da quattro grossi professionisti, tra cui Vangelis che suonava la batteria.
Tornammo in Italia con un nastro registrato che, in pratica, era il mio nuovo disco ("E tu...", anno 1974). Quando lo facemmo sentire all'interno della RCA furono in molti a storcere il naso. Dicevano che da queste canzoni ne usciva un Baglioni completamente diverso da quello che erano abituati a sentire e che con queste innovazioni sarebbe stato difficile ripetere il successo.
Una ninna nanna da Hit Parade.
Decisi lo stesso di inciderlo perché credevo fermamente nel mio lavoro e questa volta il pubblico mi dette ampiamente ragione decretandomi un grande successo. Torno in vetta alle Hit Parade e, nello stesso tempo, mi rendo conto di avere ormai un pubblico tutto mio.
In questo LP c'è una canzone a cui sono molto legato. E' "Ninna nanna" con un testo tratto da una poesia di Trilussa. A questo pezzo è legato un fatto che mi addolorò parecchio. Ero stato invitato dalla Rai a partecipare ad una "Caravella dei successi" e decisi che avrei presentato "Ninna nanna".
Due giorni prima della manifestazione mi dicono che avrei dovuto modificare leggermente il testo perché due-tre parole non si potevano dire in televisione. Faccio questi piccoli accorgimenti, che d'altronde non modificavano il senso della canzone, quando a poche ore dalla trasmissione mi dicono che era meglio se cambiavo il pezzo perché altrimenti qualche giornalista avrebbe potuto accorgersi dei cambiamenti al testo e di conseguenza avrebbe immaginato che la Rai esercitasse la censura. Insomma, in poche parole, una situazione davvero ridicola che ancora oggi ricordo con enorme tristezza.
Esaurito il successo di E tu..., mi misi di nuovo in moto per continuare il mio discorso musicale. In quel periodo mi tornò la voglia di fare un disco che fosse legato completamente da un filo comune, da un unico comune denominatore. Tuttavia volevo che questa volta il filo conduttore non fosse una storia d'amore o una macchina, ma uno stato d'animo e precisamente il senso dell'attesa. Con queste premesse nasce il mio quinto LP "Sabato pomeriggio", anno 1975.
La realtà in musica.
Perché "Sabato pomeriggio"? Semplice: questa giornata è quella in genere preferita da tutti perché la gente va fuori, si gioca la schedina del totocalcio, si va a ballare, si va a cena fuori e in tutti, grandi e piccoli, c'è una maggiore predisposizione alla felicità all'incontro con gli altri.
I testi di questo disco, anche se qualcuno li ha criticati, li trovo molto rispondenti alla realtà e per questo credo che siano da apprezzare. La realtà, anche quando è brutta, bisogna saperla affrontare e non nasconderla anche a se stessi. Ecco, in questo disco ho cercato di musicare la realtà che vivevo in quel momento e devo dire che tutto sommato ci sono riuscito abbastanza bene visto i successo che il disco ebbe presso il pubblico.
Ero molto felice per questo amore che era sbocciato tra la gente e la mia musica e ormai mi sentivo a tempo pieno un musicista. Ma oramai lo spazio stringe e per raccontarvi le ultime vicende della mia vita vi rimando alla prossima puntata. Mi raccomando, non mancate, perché ho ancora parecchi episodi divertenti da raccontarvi.
segnalato da Antonio