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Rassegna stampa - mercoledì 1 dicembre 1982 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Music - 01/12/1982
Claudio Baglioni - alé-oò
Con un doppio album dal vivo il cantautore romano conclude quella che è stata la tournée dell'anno, un vero e proprio documento made in Italy.
di Piergiuseppe Caporale
Nell'ambiente degli addetti ai lavori, in genere, quando si parla di dischi cosiddetti live, ovverosia incisi dal vivo, si sghignazza a più non posso. Indiscrezioni, pettegolezzi, cattiverie gratuite, voci di corridoio, recano notizie contrastanti ma tutte con un minimo comun denominatore: Il produttore Pinco è in studio con l'artista Pallino a sistemare - e qui sghignazzo rituale - il disco dal vivo. E' successo nel caso di De André e della Premiata, è successo nel caso di Dalla & De Gregori con "Banana Republic" è successo recentemente nel caso dei Pooh ("Palasport"), sarà successo anche questa volta nel caso di Claudio Baglioni, il cui doppio "Alé-oò" in questi giorni appare sui banchi dei negozi. Succede perché sono pochi quegli artisti in grado di dare un prodotto costante anche sul palco, in grado di non mollare mai una stonatura, di tenere sempre sotto controllo i musicisti, i tecnici del suono, gli effetti larsen, le cadute di tensione elettrica eccetera eccetera. E succede anche perché ben poche sono le tournées di nostrani eroi della musica leggera in grado di durare più di qualche data - al massimo una ventina - vuoi per mancanza di spazi, vuoi per logica resistenza, vuoi ancora per mancanza di pubblico.
Ecco quindi che un doppio live del personaggio al momento più importante della musica leggera italiana, va esaminato alla luce di quanto c'è alle spalle, di quanto c'è dietro. Nel nostro caso un'estate più unica che rara vissuta soprattutto on the road, all'insegna di quella musica itinerante di cui tanto si folleggiava anni fa e che, in Italia, ha invece sofferto sempre di carenze organizzative, politiche, addirittura di volontà. Un'estate nata, tutto sommato, sotto auspici tutt'altro che benevoli, fra la disattenzione generale (fra mondiali di calcio, Rolling Stones e calata di stranieri vari c'era proprio da preoccuparsi), senza la tradizionale spinta di un ellepì (le tournées sono praticamente sempre motivate dalla promozione), insomma così, addirittura solo per la voglia di cantare.
Eppure proprio quest'atipica estate è servita a conferire a Claudio Baglioni la consacrazione definitiva (anche se magari non ce n'era proprio bisogno) di artista più popolare del momento: un pubblico dalle molteplici sfaccettature, dal giovanissimo con i lucciconi alla giovanissima in lacrime, dalla coppietta nostalgicamente abbracciata, alla giovane famigliola con bambini, ai genitori di mezz'età che accompagnavano le figlie, ai maturi pensionati attratti da uno che per la prima volta si è occupato di loro... Una vera e propria corsa su e giù per la penisola, con un'organizzazione itinerante da far invidia al circo Barnum, potenza in watt e qualità sonora... L'attenzione della quasi totalità dei media, dalle radio e televisioni private, ai quotidiani, ai notiziari locali, alle terze pagine d'opinione... La realizzazione di un vero e proprio film di cento minuti (che verrà messo in onda dalla Rete 2 Televisiva in due puntate durante le vacanze natalizie)... La ricerca (ed il ritrovamento) di nuovi spazi, dagli stadi alle piazze, dall'Arsenale di Venezia a Piazza di Siena a Roma... Il record assoluto di presenze dai 25.000 di Palermo ai 120.000 di Roma.
Tutto quanto su esposto non avrebbe avuto senso senza una documentazione sonora, senza il disco, insomma: ecco quindi perché, prima ancora di parlare dei solchi di vinilite veri e propri, era bene fare una frettolosa ricognizione sulle motivazioni, sugli antefatti di un'avventura che, con ogni probabilità, è diventata molto più grossa, ponderosa addirittura macroscopica. Molto più grossa delle intenzioni, dilatata, espansa dal vero protagonista, il pubblico. Sì perché, in ultima analisi è stato proprio questo Idra dalle mille teste, croce e delizia, paura e gioia di ogni artista, a motivare, a dare il via all'operazione, a renderla alla fine tanto importante.
Già s'era avuta più di un'avvisaglia dalla tournée invernale dell'artista romano: una quindicina di date in posti tradizionali (palasport e consimili), tutti con l'esaurito assoluto, tutti con il delirio nel cuore. Ma quella volta c'era la motivazione, quello stupendo "Strada facendo" che aveva rilanciato Claudio Baglioni portandolo in cima alla lista dei facitori di canzoni popolari ma intelligenti e tecnicamente ineccepibili. L'Idra aveva allora (per questioni di spazio) solo le tradizionali e relative teste: ma le emozioni, le sensazioni, la voglia erano tante, tantissime, inversamente proporzionati al numero dei convenuti. Emozioni, voglie, sensazioni che rimanevano inappagate data la brevità dell'avvenimento.
Ecco quindi perché, una volta assaggiato il vero successo, quello fatto non soltanto di soddisfazioni economiche ma del delirio degli astanti, dell'idolatrìa vera e propria, fatto della sensazione di essere grande, bello, indispensabile... la droga diviene inevitabile, non si può più fare a meno di quello strano, indescrivibile calore, fatto di sudore, di lacrime, di urli, di acclamazioni. E' una specie di coito generale, di unione sessuale vera e propria fra artista ed astanti, un crescendo di dare-avere da una parte all'altra e viceversa. Addirittura si perdono per strada le motivazioni, non ha più senso dire "Strada facendo è una bella canzone", oppure "quanto mi piace I vecchi": conta solo il momento, la circostanza.
Ecco quindi spiegate le motivazioni: potrà sembrare un po' alla maniera di Freud, ma, personalmente, non crediamo che ce ne possano essere altre. E' certo che, qualunque sia l'antefatto, ne è venuto fuori un prodotto di gran classe che, oltre a riproporre l'atmosfera del maxiconcerto, rinfresca e rinnova completamente i successi cosiddetti storici, facendone nuovo pane per gli estimatori di vecchia data, ma addirittura una scoperta per coloro che di Baglioni si sono accorti solo con "Strada tacendo". Un titolo personalissimo (anche se per molti opinabile), conferisce al doppio album caratteristiche ancor più da strada: infatti Alé-oò", oltre ad essere il grido dei tifosi della squadra vittoriosa, è anche un colore ben preciso della manifestazione all'aperto, con grandi spazi e grande pubblico. Ma diamo uno sguardo all'opera nella sua totalità.
Lato 1. Il disco apre con " '51 Montesacro", la doppia sestina che apriva "Strada facendo": in concerto Baglioni introduce se stesso entrando da fuori campo con la sola chitarra. I seguipersone a pioggia inquadrano l'artista che raggiunge il palco dove i musicisti hanno già iniziato al buio un preludio di tastiere. Sull'accordo finale parte subito "E tu come stai?" (il brano che dava il titolo al LP del 1978): i nuovi arrangiamenti trasformano completamente questa canzone, arricchita da soli di chitarra e da una ritmica trascinante che sarà un po' la caratteristica di tutta la performance. Si salta al passato con "Poster": Baglioni è al pianoforte e ripropone uno dei suoi più grandi successi datato 1975. Gli arrangiamenti di Bacalov che allora rendevano questo pezzo un brano melodico puro, sono abbastanza lontani, trasformati in una performance quasi solistica. Si torna alla chitarra con "Io me ne andrei": ma intanto ci si è già resi conto che lo strumento migliore, il più bello, è sempre la voce di Claudio, capace di bassissimi ed immediatamente di altissimi, sempre sul punto di rompersi e sempre, invece, in ascesa. "Fotografie" ci riporta al presente, alla produzione più recente: la batteria di Massimo Buzzi (personaggio che citeremo più volte in quanto vero e proprio motore metronomico ed incalzante di tutto il disco) disegna il tessuto di questa canzone che finisce con il ritorno di Baglioni al pianoforte. Ritorno che serve anche a preparare l'ingresso di "Ninna nanna, nanna ninna" (1974 "E tu..."), il brano composto rielaborando il sonetto di Trilussa: inizio solo al pianoforte; poi entrata progressiva delle percussioni (il buon Wilfred Copello è sempre all'altezza, anche coreograficamente); finale con tutta l'orchestra e delirio di pubblico.
Lato 2. Si continua con "E tu...": ma questa volta, insieme al cantautore c'è il pubblico che canta con lui, parola per parola (se non andiamo errati è il pubblico di Venezia, ma tanto ovunque era la stessa cosa). "Ragazze dell'est" riporta nuovamente al presente con un brano dal feeling struggente, tutto giocato sulla voce di Baglioni. Entra poi in gioco il primo Medley, quello che sul palco veniva giocato con tutti i musicisti in prima linea; un vero e proprio divertissement che salta da "A modo mio", "Ragazze di campagna", "Chissà se mi pensi", a "Faccia pulita", "Mia libertà" "Porta Portese" ("Questo piccolo grande amore" 1972), da "Viva l'Inghilterra" (1973) a "Puoi" (1976), da "Giorni di neve" a "Con te" (1978). Musicalmente è tutto acustico, con arricchimenti di percussioni e di urletti di riconoscimento, coretti lontani, atmosfera, atmosfera, atmosfera
Lato 3. "Notti" viene introdotta dalla doppia batteria (Copello tiene compagnia a Buzzi): è un treno che corre a disegnare insieme alle tastiere tutto il brano. Stop repentino: Baglioni si porta sul bordo del palco e si siede con le gambe penzoloni. I cercapersone inquadrano solo lui che, con il microfono in mano si accinge a cantare "I Vecchi": alle tastiere la sapiente introduzione di Walter Savelli prepara l'atmosfera per questo brano. Il silenzio è quasi tangibile. Finale tutto orchestrale.
"Via" serve anche ad asciugare le lacrime: è sempre Savelli ad introdurre, questa volta, un roccaccio scatenato mentre Baglioni impugna la chitarra elettrica. Divertimento, gioco, sollazzo, botta e risposta con finale pirotecnico prima di un altro medley composto questa volta da "Amore bello" (1973), "Solo" (1977), "Sabato pomeriggio" (1975) e "Buona fortuna". I musicisti sono tutti al loro posto ed il protagonista è al pianoforte: "Buona fortuna" è cantata in piedi sul seggiolino giocando con il pubblico.
Lato 4. "Quanto ti voglio" (1972) riporta in atmosfere datate: ma chi si aspetta la esecuzione pedissequa del brano di "Questo piccolo grande amore" si trova invece di fronte ad una canzone addirittura nuova, in cui chitarra elettrica e batteria contrappuntano con molto vigore il sapore della vicenda. A ruota segue "Avrai", l'ultima canzone, in ordine di tempo, di Claudio Baglioni: fa impressione rendersi conto che il pubblico la sa già a memoria, al pari di quelle che da più di dieci anni vengono ascoltate e riascoltate. Ma ecco che arriva l'apoteosi finale: in scena è tutto buio, il pubblico acclama, si accendono i cercapersone ed inquadrano l'artista al piano elettrico (Fender). Ma non è al suo solito posto, bensì appollaiato in cima alla torre di casse sulla sinistra: "Questo piccolo grande amore" è cantato da Baglioni insieme al pubblico: roba da pelle d'oca! "Con tutto l'amore che posso" (anch'esso dello stesso periodo della precedente) è forse ancor più struggente: in aiuto sono arrivate anche le tastiere di Savelli, di Massimo Guantini e di Massimo Di Vecchio ad aggiungere atmosfera a questo vero e proprio grido d'amore. "Un po' di più" (1978) ci avvicina alla conclusione: ormai non si può più cantare da soli, il pubblico è un immenso coro che precede, risponde, sottolinea, annuisce.
Finale emblematico l'alfa e l'omega (per ora, naturalmente) della carriera dell'artista romano: "Signora Lia" e "Strada facendo" sono le ultime canzoni. Il coro di "Alè-oò" conclude in dissolvenza quasi visiva questo concertone.
E' più di un'ora che ascoltiamo musica e ci sembrano solo cinque minuti! Con ogni probabilità siamo viziati dall'incalzare di questo disco, dall'assoluta mancanza di punti morti, di noia circostanziale. Dal punto di vista tecnico, oltre alla registrazione effettuata dallo studio mobile tedesco Dieskmobile studio, c'è veramente da dire bravo a Franco Finetti, il sound engeneer che ha effettuato un mixage da manuale senza perdere assolutamente l'effetto presenza del calorossissimo pubblico e senza, per questo, aver danneggiato la parte musicale vera e propria.
Ecco quindi che, una volta tanto, un disco dal vivo prodotto nel nostro paese, assume la funzione di vero e proprio documento: un documento di circa ottocentomila presenze, di più di cinquanta concerti, di un vero e proprio incontro fra un artista ed un pubblico che finora aveva avuto ben poche occasioni di goderselo dal vivo.
Ah, dimenticavamo di dire, per la gioia dei fans (ma soprattutto delle fans), che il disco è corredato da uno splendido fascicolo-inserto di sedici pagine a colori che illustra le tappe principali della tournée.
segnalato da Antonio