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Rassegna stampa - mercoledì 1 settembre 1982 |
ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2001 |
Pubblicato su
Superstar - 01/09/1982
Claudio Baglioni
Non c'è un criterio unico per valutare la maturità di un individuo a causa della diversità di fattori che possono contribuire alla formazione dell'individuo stesso: esistono però delle tappe che potremmo definire fondamentali, occasioni in cui ci si trova giocoforza costretti a fare il punto della situazione, a pesare gli anni e gli avvenimenti rimasti indietro, ad elaborare nuovi progetti per il futuro. Naturalmente le tappe non sono le stesse per tutti ma chi scrive crede che la nascita del primo figlio sia uno dei punti decisivi della vita di un essere umano, il momento in cui ci sente elemento di un gioco uguale nel tempo, pieno di imprevisti e meraviglioso, più bello di qualsiasi volo della fantasia: la vita.
Claudio Baglioni, trentunenne cantautore romano, artista di punta nel panorama della canzone italiana, ha da poco assaporato questa gioia: Paola Massari, sua moglie, la ragazza di "Questo piccolo grande amore", gli ha dato pochi mesi fa un figlio, Giovanni, nato proprio quando fervevano i preparativi del tour che Claudio sta attualmente concludendo in giro per l'Italia. Un tour che ha dimostrato quale consistenza abbia il rapporto tra questo artista e il suo pubblico, costellato da episodi commoventi, da folle che cantano insieme a lui tutte le canzoni compreso il recentissimo successo "Avrai", brano ispirato dalla nascita del bambino, interrotto soltanto dai cori che gridano "Giovanni! Giovanni!". Spiegare le ragioni del successo di Claudio Baglioni è impresa ardua: in lui convivono tutte le componenti di spicco della canzone italiana filtrate dalla sua sensibilità di autore capace di raccontare e raccontarsi con uno stile per certi versi unico. E poi ci sono ancora tante cose da dire ma scopriamole man mano nel tentativo di ricostruire le tappe fondamentali della sua carriera di artista.
"'51 Montesacro e tutto cominciava in un subaffitto e un muro che sudava...". Inizia così "Strada facendo", l'ultimo LP di Claudio, uscito nell'estate dello scorso anno, probabilmente uno dei suoi lavori più belli in assoluto, sicuramente il più maturo. Il verso fa parte del primo dei quattro intermezzi, costruiti sul metro tradizionale della sestina, che Claudio esegue accompagnandosi da solo con la chitarra e ricordando episodi ed immagini che hanno caratterizzato la sua infanzia. Un'infanzia normale, da bambino cresciuto in una famiglia semplicissima, la mamma sarta e il papà carabiniere e lui figlio unico, senza eccessive coccole e con la solitudine dietro l'angolo.
Storie di gente comune, le tonsille, il sabato a vedere la tv, le vacanze in Umbria (la madre è di quelle parti), la prima comunione "
e attento all'ostia e alle fotografie", ecco un esempio di come Claudio sappia far diventare poesia quella sensazione, quel rito misterioso, l'oratorio, le feste in casa, le prime ragazzette. Da filo conduttore una grande passione per il canto, celebrata nelle sestine da un verso, " ... una sedia per cantare Una Casetta In Canadà
", che fa riferimento ad una volta che il padre, quando Claudio era ancora piccolissimo, è andato a scovarlo in una trattoria, in piedi su una sedia, a cantare la celebre canzone ai presenti, divertiti e stupiti, da questa prima performance. La prima chitarra arriva a 14 anni, regalo di compleanno di uno zio: qualche lezione per i primi rudimenti, gli studi per diventare geometra, il complessino con "le mosse copiate dai Rokers", un concorso di canzoni a Centocelle, gli amici del bar che lo chiamano "Agonia" per quella sua aria eternamente corrucciata, triste, gli occhi nascosti da occhiali scuri. Arriva il '68, i volantini, le assemblee, la fantasia al potere, i colori freak ma anche il blù degli esistenzialisti con quella loro aria maudit, le canzoni di De Andrè e quelle dei francesi. Claudio appartiene a quest'ultima schiera e con alcuni amici mette su un gruppo, "studio dieci", per realizzare spettacoli dov'era possibile trovare una canzone di lotta accanto ad un recitativo da Brecht o a una poesia di Pavese.
Nel frattempo ha cominciato a scrivere le prime canzoni e cosi approda alla RCA per un provino che non viene considerato positivo. Resta lì parcheggiato per qualche tempo, ancora più chiuso in un personaggio forse snob, in attesa di un'altra prova. La seconda va meglio e Claudio entra in scuderia. Sono gli anni delle Canzonissime, dei Nicola di Bari e dei Gianni Morandi, il ragazzo con gli occhiali neri resta in disparte fino a quando conosce Antonio Coggio, pianista e produttore interno presso la casa discografica, che lo appoggia e gli consente di incidere prima un 45 giri, "Signora Lia", poi un 33, il primo, "Claudio Baglioni, un cantastorie dei giorni nostri".
L'album, arrangiato da Ruggero Cini, è la classica opera prima: canzoni che appaiono troppo "di sinistra", alcune più complesse e con rivendicazioni classiche ("Interludio", con un controcanto sulla "Patetica" di Beethoven, "Lacrime di marzo", "Il sole e la luna"), altre decisamente insignificanti, un pezzo parlato. Baglioni partecipa a un paio di manifestazioni a carattere nazionale, arriva ultimo alla Gondola d'oro di Venezia e la delusione lo allontana dalle scene. Una collaborazione con Zeffirelli con un paio di canzoni per la colonna sonora di "Fratello sole, sorella luna", i preparativi per un nuovo album, gli studi d'architettura lasciati nel cassetto, un festival in Polonia con un premio della critica. Quest'ultima esperienza si dimostrerà molto importante nella vita di Claudio ed è per questo che una canzone come "Ragazze dell'est", contenuta su "Strada facendo" acquista un sapore a quel linguaggio semplice ed essenziale che sarà la sua caratteristica. Torna a Roma e con l'aiuto di Toto Torquati completa "Questo piccolo grande amore", il primo album concept italiano ad arrivare al primo posto delle classifiche. Si tratta di un disco che racconta una splendida storia d'amore ambientata nel mondo dei giovani tra problemi di militare, litigate, manifestazioni percorse da sirene ululanti. Il successo, clamoroso, premia un disco tutto sommato coraggioso, narrato con piglio cinematografico e sceneggiato nelle strade di Roma e "lungo il Tevere che andava lento lento" fino a "Porta Portese", acquarello riuscitissimo di una situazione che non è cambiata nel corso degli anni, una canzone che è entrata di diritto nella tradizione popolare. "
Tutti rotti 'sti carzoni, si vabbè che è roba usata ma chi sa chi l'ha portata, quanto vuoi?... quella lì non è possibile che è lei insieme a un altro.. " (da "Porta Portese").
Baglioni è subito fenomeno: mamme, nonne, ragazze, bambini, teen agers, tutti insomma impazziscono per lui. Da allora, e per molte estati, l'appuntamento è con il nuovo successo di Claudio Baglioni: "Amore bello" nel '73, "E tu" nel '74. "Sabato pomeriggio" nel '75, tutte canzoni che diventano colonna sonora per la vita di molti giovani che scoprono in Baglioni un ragazzo come loro, che vive e racconta storie come le loro. I tre album che questi tre hits spingono in cima alle classifiche sono molto diversi uno dall'altro. Il primo, "Gira che ti rigira amore bello", è ancora un album-concept, con una storia unica che doveva essere incentrata sulla macchina di Claudio, "la Camilla", il simbolo di una giovinezza (o di un modo di essere giovani) che l'autore si stava lasciando alle spalle. Il progetto non è centrato in pieno ma non mancano delle canzoni di livello superiore come "Ragazza di campagna", "Lettera", "Io me ne andrei" o la divertente "W l'Inghilterra". L'incendio di Camilla (sfruttato anche a livello pubblicitario) segna la fine di un periodo nella vita di Claudio: il ragazzo è diventato uomo e marito (nel frattempo, in gran segreto, nel '73, ha impalmato Paola Massari), l'adolescenza è finita, comincia la vita da grandi. "E tu... " è una raccolta di canzoni abbastanza varie ed è realizzato a Parigi con Vangelis Papatanassiou, musicista greco dalla grande personalità. Tra le canzoni più belle "Ninna nanna", tratta da una poesia di Trilussa, "Ad Agordo è così", "A modo mio" e il divertente amarcord di "Merilù". Nel '75 il successo è ancora più clamoroso: nell'album ci sono un po' di belle canzoni, "Lampada Osram", "Il lago di Misurina", "Poster", ma "Sabato pomeriggio", il brano che dà il titolo album, le oscura tutti e diventa un vero e proprio incubo radiofonico per tutta l'estate. Il disco è stato prodotto da Luiz Enrique Bacalov. "Passerotto non andare via / nei tuoi occhi il sole muore già / scusa se la colpa è solo mia / se non so tenerti ancora qua... " (da "Sabato pomeriggio").
A questo punto quasi una crisi di rigetto: Claudio si trova a dover fare i conti con una situazione che comincia a diventare insostenibile, il peso del successo si fa sentire con tutti i suoi problemi, dal rapporto con la casa discografica che lo vorrebbe sempre uguale a se stesso, pronto a sfornare canzoncine per arrivare in cima alle classifiche, al pubblico che si spacca in due, da una parte i fans che gli tributano accoglienze quasi divistiche, dall'altra chi gli rimprovera di essersi fatto coinvolgere completamente nel meccanismo industriale. Un tour in Sudamerica e poi la decisione di fare tutto da solo, di assumersi in prima persona ogni responsabilità del proprio lavoro, cantante, autore, arrangiatore, produttore, organizzatore.
Il risultato é un album, "Solo", che vive appunto della solitudine dell'autore e di quella dei personaggi delle canzoni, un tassista di Rio in "Nel sole, nel sale, nel sud", una spogliarellista in "Strip-tease", un'operaia in "Duecento lire di castagne", e poi ancora "Gagarin", da solo verso l'infinito, o "Il pivot" con una descrizione ambientale quasi crepuscolare. Se queste canzoni sono occasione per parlare della solitudine degli altri, ce ne sono almeno tre che esprimono completamente il malessere dell'autore. Si tratta di "Solo", il brano che da il titolo all'album, canzone di una disperata rassegnazione, "Quante volte", perduta tra ricordi d'infanzia e strade vuote, e "Puoi", divisa tra grandi sogni e la consapevolezza che sarà impossibile realizzarli eppure aperta, nel finale, ad un tentativo di vincere questa solitudine. "Solo" arrangiato da Toto Torquati, è da considerare uno dei dischi più belli di Baglioni ma è soprattutto un disco importante perché segna un cambiamento notevole rispetto al ragazzino che cantava "Questo piccolo grande amore".
Subito dopo, e per un paio di anni, Baglioni sparisce dalle scene. Ritornerà sui giornali per un clamoroso cambio di casa discografica dalla RCA alla CBS, una storia di contratti, avvocati e ingaggi che diventa di dominio pubblico. Questo break abbastanza lungo per uno come lui che era stato sempre puntuale all'appuntamento finisce per diventare, per i suoi fans, un'attesa quasi spasmodica: c'è la curiosità di sapere cosa è successo a Claudio, come sta, come gli vanno le cose, come se il nuovo album dovesse essere una finestra aperta sulla vita di Claudio che nel frattempo è in Francia, al famoso Chateaux di Herouville, per realizzare l'album numero sette.
" ...Tu come vivi / come ti trovi / chi viene a prenderti / chi ti apre lo sportello / chi segue ogni tuo passo / chi ti telefona / e ti domanda adesso / Tu come stai?... " (da "E come stai?"). Il settimo album, per quanto segni una fase interlocutoria nella vita dell'artista, giunge puntualmente in cima alle classifiche. E' un disco che racconta storie velate di malinconia, che continua ad individuare nella solitudine la chiave di lettura del nostro tempo e dove Baglioni ritorna a parlare in prima persona. Mancano cioè i bozzetti, i personaggi che avevano fatto la fortuna di "Solo" ma il nuovo album finisce quasi per essere una confessione disperata e emozionante, uno spaccato di vita quotidiana che coinvolge chi ascolta perché i dubbi, le paure, le incertezze, la mancanza di ideali e l'esaltazione dei valori puri, dell'amore, sono gli stessi per tutti.
Segue un lungo silenzio: Claudio continua a scrivere ma non ha nessuna intenzione di fare un disco, dopo un po' nessuno parla più di lui anche perché Claudio non è un personaggio da cronaca rosa e difende a denti stretti la sua privacy. Comincia una nuova attesa che dura fino all'estate dello scorso anno, all'uscita cioè di "Strada facendo" (il sottotitolo è "Canzoni è una piccola storia che continua") album perfetto che mette d'accordo critica e pubblico e che è lo specchio fedele dei cambiamenti avvenuti nel corso di questi anni. "Strada facendo" è una canzone che parla di speranza, di solitudini che si infrangono sulla strada quando ci si accorge che, tutto sommato, non è vero che si sta sempre da soli, ma intorno a noi c'è un mondo che gira tra giorni e notti, vecchi e bambini, ricordi che affiorano alla mente e fotografie come punte di spillo conficcate sul cuore. Un album dove non c'è niente da scartare, sincero, immediato, proprio come ci si aspettava da Baglioni perché, e in questo è veramente grandissimo, Claudio riesce a cambiare, ad andare avanti lungo la sua strada, continuando a raccontare le cose che la gente si aspetta da lui. Le sestine che ripercorrono episodi e umori della sua infanzia sono geniali nella loro semplicità e sanno di confessione pubblica, di prologo estetico-antropologico (ecco qui due paroline che significano soltanto come delle sestine si possa dedurre quale è stata la formazione di Claudio, del suo gusto e della sua personalità), di album di famiglia. "La storia che continua" (due sestine, a seguire, sono state pubblicate sul retro del singolo "Avrai" prima della riproposta strumentale del brano stesso) è una storia che continua sulla strada: Claudio ha intrapreso a fine giugno un tour veramente colossale che lo ha portato (e lo porterà) a contatto con il pubblico di tutta l'Italia, dal Nord al Sud, alla ricerca di un contatto e di nuove sensazioni da raccontare in un nuovo album che porti avanti quel discorso di speranza iniziato con " Strada facendo". "
Cos'è che mi spezza il cuore tra canzoni e amore / e che mi fa cantare e amare sempre più / perché domani sia migliore perché domani tu / strada facendo vedrai che non sei più da solo
".
Oggi come oggi Claudio Baglioni è molto lontano da quel ragazzo con gli occhiali scuri che bivaccava sui divani della RCA cercando qualcuno che gli desse una mano. E' cambiato, cresciuto, aperto al dialogo, sorridente, a volte persino un tantino gasatello (ma chi non lo sarebbe al posto suo), la battuta pronta. Una trasformazione che forse si spiega proprio con "Strada facendo", questo modo di prendere la vita così come viene ma senza superficialità, gustandosi appieno le piccole cose e lottando per le altre al fianco della gente non più come un poeta maledetto ma proprio come una persona normale, un uomo che vuole costruire un futuro migliore per i suoi figli anche se "è solo una canzone e non potrà cambiar la vita".
Da un punto di vista musicale Baglioni è, ci si consenta il gioco di parole, il più italiano degli italiani. Non vanta radici musicali Claudio, se non qualche canto umbro sentito dalle zie materne, ma si può dire che le sue canzoni sono la logica evoluzione di un modo di scrivere e di fare musica tipicamente italiano. C'è lo sviluppo lineare (e spesso a squarciagola) della linea melodica, il refrain dalla forza d'impatto notevolissima.
Negli ultimi album c'è un certo orientamento (per lo meno in alcuni brani) verso atmosfere decisamente più ritmate ma non è soltanto questione di quattro quarti: c'è la musica brasiliana, la chitarra latina, e accanto la ballata lenta, il pianoforte in primo piano, l'assolo elettrico e il coro di archi. Claudio ha costruito e maturato anche da un punto di vista musicale uno stile personalissimo che è la garanzia della sua unicità soprattutto per quanto riguarda il modo di cantare, la voce che nasce roca e poi cresce e si estende in acuti a volte lunghissimi come quello di "Ora che ho te" su "Strada facendo". Per sottolineare questo carattere italiano della musica di Claudio vale la pena citare un episodio recente: a Napoli, ad un pubblico letteralmente in brodo di giuggiole dopo un concerto entusiasmante, Baglioni ha improvvisato, tra i bis, "Reginella", famosissima e storica canzone degli anni d'oro della musica napoletana, una scelta fatta col cuore nel rispetto di una tradizione che non può essere dimenticata.
Saltellando qua e là tra le canzoni di Claudio alla ricerca di un po' di poesia: fin troppo facile. C'è in Claudio una capacità di risalire dal particolare, le vicende del quotidiano, i colori saputi, i meccanismi normali, all'universale, ai valori come l'amore, la felicità, la vitalità. Esempi ce ne sarebbero a bizzeffe, da quel "...dai che perdi il treno", in "Questo piccolo grande amore", quando il protagonista sta per partire per il militare e in quella frase che la sua donna gli dice c'è proprio tutto, la tristezza della separazione, l'apprensione per il rigore della vita militare, la speranza che prima o poi il ragazzo torni a Roma. Oppure ancora, sempre sullo stesso album, la collezione di immagini di "Mia libertà", una pizza dal sor Pietro, una corsa a Porta Pia, le signore sole, le prime sigarette, gli annunci sui giornali pieni di massaggiatrici, l'amore che si impara sui baci Perugina prima e sugli oscar Mondadori poi (quest'ultima aggiunta è di chi scrive). Che dire poi della stanza desolata di "Io me ne andrei", della bacinella d'acqua di "Ragazza di campagna", di quel "sono un po' più secchetto ma solo qualche etto" di "Lettera" (l'album è "Gira che ti rigira amore bello") che è indicativo del rapporto tra il giovane sulla strada (per qualsiasi motivo, lavoro, vacanza fuga) e la famiglia. Ma Baglioni è capace di cogliere la poesia anche in una boccaccia ai polli "con la lingua tutta blù " ("Ad Agordo è così", quadro di una provincia che si infiamma ancora quando al cinema danno la serie con Totò) o nelle "facce da galera" che la protagonista di "Lampada Osram" vede intorno a sé (precisazione: non è Claudio che pensa una cosa del genere ma pensa che la pensi ehm ehm... - la ragazza costretta ad aspettare fuori stazione Termini). E poi, ogni tanto, il volo, senza la paura di essere retorici, senza la paura di esprimere i propri sentimenti: "Passerotto non andare via... " e chi non ha mai usato un appellativo del genere riferito alla persona amata scagli la prima pietra. Fin qui, 1975, la scrittura di Baglioni è stata interessante anche se forse non omogenea ma, da "Solo" in poi, salvo giusto un paio di cose, Claudio sembra aver trovato la sua strada accentuando ancora di più il gusto delle cose minime (verrebbe quasi da paragonarlo ai crepuscolari anche se versi come "l'alcolonnello è sempre in prima fila" - la canzone è "Strep tease" - tradiscono quantomeno la lettura dei francesi non maledetti, Prevert per esempio). "Solo" è un campionario di solitudini sottili, colorato da separazioni al tavolino di un bar, "tra il thè e lo scontrino", e da nuove relazioni senza sbocco: " ... E se adesso suono le canzoni / quelle stesse che tu amavi tanto / lei si siede accanto a me sorride e pensa che io le abbia dedicate a lei... ". Stessa solitudine in "Nel sole, nel sale, nel sud", il protagonista è un taxista brasiliano, "cicatrici sulle spalle dove ali non ricresceranno più", "dita d'ebano intrecciate da una vita al volante di un taxi", "traffico, disperazione, attesa, rabbia, nostalgia, rassegnazione / da portare a spasso gratis tutti i santi giorni per le vie di Rio". In "E tu come stai?" non è che la scena cambi di molto tra cene a prezzo fisso "seduto accanto ad un dolore", cani e carte che fanno da compagnia, sportelli che altri aprono, radio che passano la pubblicità, alla ricerca disperata di un amore "felice o infelice ma che sia amore". Bisognerà aspettare "Strada facendo" per scoprire che, da contraltare al bisogno di fuga di "Via" (" ... voglio andar via da quei tuoi occhi che tiranno sassi..."), c'è pure la speranza, un briciolo d'ottimismo che non vieta però, anzi aggiunge solo spessore alla loro realizzazione, bozzetti sicuramente non allegri come "Ragazze dell'Est" o "I vecchi". Quest'ultimo sembra la carrellata di un film neo-realista, le piccole cose del quotidiano, le bocce o le borse della spesa, diventano il simbolo di una solitudine che ritorna quando la vita inizia ad andare via, fino alla ripresa del gioco infantile, "sedia sediola, oggi si vola e attenti a non sudare", che traccia un'unica linea dall'infanzia alla vecchiaia. Poi ci sono le situazioni individuali che Claudio sembra quasi aver vissuto per tutti o per lo meno lui è l'unico capace di raccontarle cantando: come spiegare altrimenti "Notti" e i suoi piccoli fotogrammi, la tensione prima di un gran giorno, le nottate in macchina a parlare "il vetro basso per fumare", gli antifurti disperati, le tv private, le telefonate a letto, "notti volanti di polizia" con l'uso dell'aggettivo che è tipico di Baglioni, con una trasposizione che deriva dal linguaggio parlato.
Il singolo "Avrai", dedicato come s'è detto alla nascita del figlio Giovanni con Claudio che è al tempo stesso padre e figlio, è un vero e proprio gioiellino di scrittura: non sono le immagini smaccatamente poetiche a fare la sua forza ma quelle più consuete, quel "pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate", quel "cento ponti da passare e far suonare la ringhiera", quel "ricordi ombrelli e chiavi da scordare" fino a "una radio per sentire che la guerra è finita", una grande speranza di pace in questi nostri giorni di tensioni, di bombe, di conflitti sparsi su quella crosta di terra e acqua che è il mondo.
Tutti i versi citati (e tutti gli altri nascosti nelle canzoni, da scoprire o da rimuovere dai proprio io come ha fatto Claudio per raccontare le sue sensazioni) dimostrano che il poeta maledetto, o il ragazzo che giocava a farlo, è diventato, non storcano la bocca i letterati dell'ultima ora, un grande poeta popolare che parla alla gente con il linguaggio della gente (anzi lo ha tatto diventare stile con tanto di schemi metrice) senza la pretesa di nessun messaggio ma solo con la voglia di raccontare. Un cantastorie dei giorni nostri, verrebbe da dire ricordando il titolo di quel primo LP di dodici anni fa
segnalato da Antonio