Oggetto: Per Paola + articolo
Da: Annamaria G.
Data: dom. 10/01/1999, 18.45.18
Per Paola di Buenos Aires.
Forse il maestro di musica di B. si chiama Amato.
Però non ne sono sicura al 100 per 100. Non ricordo dove l'ho
letto ma comunque ne ha parlato una volta in qualche intervista.
Chi sa se questa notizia è vera?
Per Stefano e per chi ha voglia di leggere.
Ho riportato su file quell'articolo
sull'esperienza polacca.
C'ERA UNA VOLTA IN POLONIA...
di
Annamaria Gnisci
"Mi ubriacai di una città polacca e
vodka e vento e non sarei tornato...".
Chissà quanti hanno ascoltato questa
breve inciso in "Dagli il via" ma chissà quanti,
nell'intreccio palesemente autobiografico, sanno cogliere il senso
reale.Come in un mosaico, esso sembrerebbe solo un tassello
incastonato tra altri incisi più o meno importanti. Invece
ciò che Baglioni sintetizza in quattordici parole è
un'esperienza umana e artistica che, a un passo dalla realizzazione
di "Questo piccolo grande amore" e nonostante sia durata solo due
anni, ancora oggi continua ad essere presente perchè è
stata determinante per la formazione del suo stile letterario ora
sicuramente più maturo e complesso. Insomma, ha dato il
via...
E in effetti, questo "mago" (come lo ha definito
Guido Harari) si era letteralmente "ubriacato" di successo polacco in
un lontano 1972...
A questo punto, un piccolo passo indietro, un
breve flashback, giusto per definire il contesto del quale Baglioni
faceva parte.
Credo sia inutile e superfluo accennare circa
l'affermazione nello scenario musicale delle varie scuole, delle
scelte politiche, della canzone impegnata d'autore, poichè
tutto questo dovrebbe stare in un manuale della storia della musica
leggera italiana. Ciò che invece è
importante da sottolineare, è
l'atteggiamento che Baglioni aveva nei loro confronti.
Nonostante egli facesse parte del sistema
discografico (cioè aveva già inciso dei dischi per la
RCA ITALIANA ), il suo collocamento verso tutto ciò che
riguardava il mondo della canzone, restava ancora quello di utente:
ascoltava le canzoni di De Andrè e Ray Charles, amava la
canzone francese d'autore e nello stesso tempo cresceva e si
arricchiva artisticamente.
Infatti, nel suo primo e brevissimo ciclo
discografico che si chiude nel 1971 con l'album di "Un cantastorie
dei giorni nostri", si percepisce una grande influenza delle varie
tendenze musicali ma si avverte anche la ricerca di uno stile
proprio, indipendente, in modo da affinare ciò che assimilava
da altri. Ma quello che ne viene fuori sono delle canzoni "banali",
cioè dei brani con alcuna intenzione artistica che potrebbero
essere considerati quasi degli esercizi in funzione di "esperimenti
per il futuro". A fianco di queste canzoni ce ne sono altre talmente
difficili da assimilare, un pò ermetiche, che forse avrebbero
dovuto costituire un elemento "di impegno", ma che, in realtà,
avvisavano una forzatura nel tema. Entrambi questi binari portano ad
un repertorio abbastanza eterogeneo, tale da non avvertire un vero e
proprio stile.
Anche se ci sono già le basi per un futuro
stile, ciò che ne viene fuori è un melting pot, una
raccolta di canzoni che poco ha a che fare con uno stile preciso.
Basti pensare a due canzoni contrapposte tipo "Mia cara Esmeralda" e
"Il sole e la luna".
Con questo bagaglio e con la ricerca continua di
una sua dimensione, chiede "orecchie pronte ad ascoltarlo",
presentando canzoni oggi famosissime come "Signora Lia" o "Notte di
Natale" ed altre meno famose tipo "L'Africa ti chiama".
In effetti le occasioni ci sono state.
Nel 1970 riesce a partecipare alla Mostra della
Canzone Italiana a Venezia e alla Caravella dei Successi a Bari.
Risultato: fischiato dall'inizio alla fine e classifica all'ultimo
posto; inoltre... la stampa lo attacca duramente, abbandonandolo ad
una cocente delusione e, nel dramma, alla voglia di smettere per
sempre.
"... quanto basta per scoraggiare chiunque,
soprattutto chi, dopo tanto penare, ha toccato il cielo con un
dito... Il momento è difficile, certamente il modo peggiore
per iniziare il decennio che innalzerà il nome di Claudio
Baglioni ai vertici dell'aristocrazia musicale italiana" (Mauro
Maggio).
A questo basta aggiungere che è in
fase di lavorazione "Questo piccolo grande amore", anche se il tutto
non è ancora maturato.
L'esperienza polacca, nel contesto sopra
accennato, è importante da un punto di vista umano e
artistico.
"... pensavo di fermarmi là solo pochi
giorni.... Invece, fui catturato da un'agenzia molto efficiente.
Partecipai al Festival Internazionale, una cosa molto bella e ricca,
insieme a Joan Baez e moltissimi gruppi venuti dall'Europa, dal
Sudamerica, addirittura dall'India...".
Ancora poco conosciuto in Italia, Baglioni
approda in Polonia con un repertorio abbastanza incerto e si presenta
ad un pubblico di cultura completamente diversa ma che, in anticipo,
gli offre l'occasione di affermare quella validità artistica
che molti, quì in Italia, non hanno
voluto apprezzare.
Come afferma Nicola Sisto, in Italia il ruolo del
cantante che azzarda ad esibirsi dal vivo è un pò
quello di cristiano sbranato dai leoni in Colosseo.
In Polonia, Baglioni si trova a contatto con una
realtà diversa e diametralmente opposta.
Immediatamente diventa un cantante di primo
piano, gli viene consegnato il premio della critica e, come
conseguenza, realizza due tournées nelle maggiori città
polacche. Per la prima volta, assume la responsabilità di
"tenere" uno spettacolo suo anche se c'è una sensazione di
"non-organizzazione", l'imbarazzo e la soggezione verso un successo
che lo coglie di sorpresa.
Baglioni non ha ancora un repertorio vasto. La
frase "Piesni popularne wloskie" apre i suoi spettacoli ai quali
assiste un pubblico numeroso ed educatissimo che in silenzio ascolta
e solo alla fine si riserva il diritto di fischiare o di applaudire.
In sintesi, concede spazio, lascia esprimere l'artista.
Se tutto questo viene paragonato alle esperienze
avute a Venezia e a Bari, ecco come il sogno polacco assume dei
risvolti gratificanti da un punto di vista umano e oltre...
E' quasi istintivo che, di fronte alle ovazioni
del pubblico, al riconoscimento e all'apprezzamento della critica,
all'esser calato nella parte dell'attore protagonista, si insinui la
voglia di continuare a vivere da divo sebbene la Polonia non abbia
niente di familiare a parte l'entusiasmo e la spinta ad andare avanti
per affermarsi.
Il desiderio almeno iniziale è questo:
cogliere le occasioni di poter raccontare ed essere ascoltato.
"Ad un certo punto nacque il sentimento
contrario, la voglia di lavorare in Italia, perché mi resi
conto che tutto era molto bello ma era falso (...) mi sentivo una
meteora... E così tornai, arricchito ma anche appesantito da
questa esperienza".
Come un grande attore, ringrazia, chiude il
sipario e fugge via.
Ma in Italia le cose non sono affatto
cambiate...
"Qualche giorno dopo l'arrivo in Italia, mi
capitò di assistere al Festival dell'Avanguardia e Nuove
Tendenze a Roma. Sul palco i giovani (tra questi il Banco e Alan
Sorrenti) vennero sottoposti al linciaggio da parte del pubblico che
interveniva pesantemente. E per l'ennesima volta, presi la decisione
definitiva di smettere di cantare...".
Ma grazie a Toto Torquati, ottimo musicista
che per anni ha lavorato al fianco di Baglioni, le registrazioni di
"Questo piccolo grande amore" sono portate a termine. Ritornata la
calma e la fiducia, in brevissimo tempo Baglioni scrive i testi.
Tutto è immediato, scorrevole e il merito
è sicuramente dell'esperienza polacca che
ha influenzato, in modo determinate, il linguaggio del parlato-
cantato.
L'esperienza polacca è un elemento base
indiscusso e irripetibile che per molti versi ha reso possibile
questo piccolo grande successo dal sapore italiano, il primo vinile
storicamente più importante della sua discografia. In esso,
Baglioni ha trasferito la freschezza e la semplicità di un
linguaggio che per molto tempo è stato peculiare del suo stile
che in seguito, nel bene o nel male verrà imitato.
Ma in Polonia Baglioni diventa maggiorenne. E
quello che si intende va oltre l'aspetto anagrafico e biografico...
Un paese lontano non solo fisicamente. Una
Polonia che gli ha regalato una vita nuova, senza radici, ma anche un
modo nuovo di tradurre il senso della vita con il suo malinconico
romanticismo e le sue "donne innamorate d'amore e della vita" e che,
a causa di una scarsa conoscenza della lingua, gli ha permesso di
inventare un nuovo modo di comunicare al di fuori di ogni artifizio.
L'utilizzo di un linguaggio istantaneo che non è asservito da
parole ricercate, l'uso del gesto e della parola senza origine e
nazione, quindi una comunicazione immediata che deve per forza
basarsi sulla semplicità e per questo fonte di un messaggio
diretto, chiaro. La parola è un frammento di un
discorso\concetto e mette in luce le intenzioni di un artista, da
colore, precisa qualcosa che va oltre la parola stessa.
Dall'insegnamento della travolgente esperienza
polacca, ancora oggi il Baglioni riversa nella sua poetica del
quotidiano una sensibilità abbastanza rara e un notevole senso
narrativo.
La parola fine a se stessa, senza voli pirandici,
è l'aspetto rivoluzionario che costituisce il peculiare nella
produzione artistica del secondo ciclo, durato quasi dieci anni, che
parte da "Questo piccolo grande amore" e che come in un cerchio,
viene a chiudersi con gli albums di "Solo" e "E tu come stai?".
In questi anni (1972\1980), Baglioni si
perfeziona e costruisce le basi di un successivo Baglioni-anni-
ottanta.
Se si volesse tentare di analizzare lo stile
"alla Baglioni", si dovrebbe partire dallo scindere il testo
dall'intreccio musicale, oppure saper cogliere i punti di entrambi
dove la narrazione è inscindibile.
Lo stile di Baglioni fa ruotare il sogno del
quotidiano attorno al binomio parola\immagine, o meglio, la
semplicità della parola che produce immagini\sensazioni,
impulsi provenienti dalla realtà che viene spaccata nel suo
interno e mostrata nel suo aspetto drammatico.
Senza alcuna indagine o analisi psicologica, i
personaggi delle storie vengono mostrati nel loro anonimato (persino
Gagarin e Misurina abbandonano lo stato di mito e leggenda) ma senza
appiattirli o impoverirli dellacarica umana, anzi tutti i personaggi
garantiscono la rappresentazione dell'umanità che si muove tra
le angosce, le paure, i sogni. Non esistono eroi da grandi gesta, ci
sono solo uomini e donne che vivono delle storie comuni ma mai in
comune tra loro. Basti pensare che ciascun album appartenente a
questo ciclo, ha un solo argomento, un trait d'union, e che ciascuna
canzone riporta un esempio della tematica. Così
come in "Sabato pomeriggio" si tenta di
rappresentare diversi lati dell'attesa della felicità,
così in "Solo" i personaggi e le loro storie girano intorno
all'argomento della solitudine.
Come si può facilmente notare, il sogno
del quotidiano è ben rappresentato proprio nei piccoli grandi
drammi che giornalmente la vita propone, così la solitudine o
la ricerca della felicità vengono proposte come le spinte
interiori che muovono una intera umanità. Ciascuna storia
è unica e rappresentazione esemplare di milioni di persone
che, in quello stesso momento, affrontano "dal vivo" quella storia. I
personaggi recitano le loro storie verosimili ed insieme
rappresentano la storia inventata nella storia reale.
La narrazione è facilmente assimilabile e
chi ascolta ha il potere di conviverla, proprio perchè il
messaggio è immediato.
Una delle accuse più accese, fatte al
Baglioni "prima maniera", è sicuramente quella di raccontare
delle storie banali. Baglioni allora si è difeso affermando
che noi viviamo anche di banalità, quindi sono anch'esse le
realtà da raccontare. Oggi è impossibile pensare che
possa essere accusato per questo motivo.
Per rendere più concreti questi concetti
di sogno del quotidiano, della semplicità della parola, del
concetto\immagine e della realtà anche banale, basti pensare
alla famosissima canzone "Poster".
Agli inizi degli anni settanta, Baglioni scrive
questa canzone che è sicuramente una delle più belle e
che racchiude come "canzone manifesto" la poetica di Baglioni.
La semplicità del linguaggio,
parola\immagine\effetto, il sogno del quotidiano e il non-eroe del
quotidiano. In "Poster" non viene detta o svelata alcuna grande
verità. C'è solo la realtà raccontata con parole
di uso comune, attraverso scene alle quali si può assistere
tutti i giorni all'interno di uno scenario familiare a molti.
E' da notare come la drammaticità della
situazione non viene mai espressa attraverso aggettivi che possono
qualificare lo stato d'animo del protagonista che, se volessimo usare
un linguaggio prettamente cinematografico, in soggettiva osserva
ciò che accade intorno a lui e, di rimbalzo, a chi ascolta il
brano arrivano le emozioni, il mood di un uomo "seduto sopra una
panchina fredda del metrò". Il racconto è talmente
efficace che, a chi ascolta, arrivano i desideri, il perchè
del sogno, il nodo drammatico del racconto sebbene il protagonista
non parli mai di se stesso e delle sue angosce.
La descrizione del luogo fisico è
limitata, superficiale: l'ambiente di un metrò.
Gli oggetti: un orologio fermo, i binari, una
radiolina accesa.
Le persone sono anonime: un vecchio, un bambino,
due innamorati e altri personaggi che hanno solo la funzione di
"oggetti" integrati nel contesto dello spazio fisico, e le azioni che
svolgono non sono particolari: un uomo che legge le istruzioni sulla
macchinetta del caffè, un altro si lamenta del governo.
Ma la descrizione del famoso poster pubblicitario
scatena ciò che è dentro il protagonista cioè la
voglia di evasione, il sogno del quotidiano fatto di isole lontane,
di palme e di mari che alimentano il desiderio di fuga, quanto basta
per estraniarsi dalla vita di tutti i giorni e quanto rende ancora
più drammatico l'essere sempre uno spettatore anche di se
stesso.
Sicuramente stiamo parlando di un capolavoro ma
in tutte le canzoni di Baglioni, anche quelle più recenti,
c’è questa ricerca continua della parola\immagine\effetto.
Tanto è vero che nel terzo ciclo
(1980/1989) Baglioni perfeziona ancora di più questo aspetto,
scrivendo un altro capolavoro "I vecchi" e poi ancora "Ragazze
dell'est", "Uomini persi", "Fotografie", "Tutto il calcio minuto per
minuto", e altre ancora. Ogni canzone gode di una propria
individualità ma ne costituisce anche parte integrante di un
insieme ancora più locuace. Dal 1981 in poi, Baglioni
"uscirà" solo su LP, sebbene ci sia anche una scelta
commerciale per la quale si è ha preferito fare "viaggiare"
Baglioni sul percorso dell'album che non su quello del 45 giri,
è anche vero che ascoltando per intero l'album si ha quella
sensazione di aver capito ciò che sono le intenzioni e il filo
conduttore che ne è all'interno. Dal 1981 in poi, Baglioni
diventa produttore di se stesso (escludendo l’album di
"Solo"), cambia casa discografica (dalla mitica RCA passa
alla CBS con non poche polemiche), e raggiunge una maturità
artistica che sembrava latente. "Strada facendo", la canzone e
l'album, è il punto di partenza di questo nuovo ciclo. Tutto
appare rinnovato ma, in realtà, tutto è una conseguenza
di ciò che era stato lavorato precedentemente. Insomma non
sarebbe esistito questo nuovo ciclo senza quelli precedenti.
La comunicazione si amplifica, sembra quasi sia
più facile esprimersi, si affina e si raffina la
parola\immagine, matura finalmente l'artista che per dieci anni si
era buttato in questa ricerca di stile.
Nel 1971 veniva pubblicata la canzone "Vecchio
Samuel" nel 1981 viene pubblicata "I vecchi", due canzoni che hanno
lo stesso tema ma hanno un intreccio drammatico completamente
diverso. La prima è trattata in maniera molto più
superficiale anche se vuole essere una timida denuncia sullo stato di
questo vecchio che aspetta invano la pensione, il quale è
vittima dei ricordi e della malinconia. Temi che, a parte la
pensione, si ritrovano anche ne "I vecchi", ma in quest'ultima la
denuncia morale è più forte perché si toccano le
corde della sensibilità dell'ascoltatore. Il tema politico
è ricacciato, Baglioni poche volte ha volutamente parlato di
politica e quelle poche volte ha avuto delle censure. In "Vecchio
Samuel" il tema tragico è impiantato sulla morte di quest'uomo
che finalmente riceve la pensione quando ormai è morto, ne "I
vecchi" la tragedia e il dramma non sono trattati come in una serie
di diapositive in bianco e nero. C'è più rispetto del
tema e il tutto viene offerto in modo più aristocratico, anche
se lo stile di scrittura è più semplice rispetto a
"Vecchio Samuel". Non esiste una storia, un protagonista, un inizio e
una fine, c'è ancora una volta, illuminato da uno spot
l'universo dei vecchi, l'umanità "vecchia" che parla e che si
muove in una scrittura semplicissima e che richiama un pò un
tipo di scrittura "a pensiero", infatti le frasi sembrano buttate
lì per caso, ma in realtà sappiamo benissimo che dietro
c'è una costruzione a tasselli.
Questa parentesi su "I vecchi" serve solo a far
capire come si è andata a modificare la parola\immagine e
anche come si è accresciuto e arricchito il mondo nel quale
Baglioni fa muovere i personaggi.
Si utilizza il gioco di parole: "Notte di note
note di notte", "Un nuovo giorno un giorno nuovo" che già da
solo fa capire quanto è importante il vocabolo che si
trasforma in parola, e la parola in frase e la frase in concetto.
Quindi anche la scelta del vocabolo e l'accostamento dei vocaboli
trovano l'importanza di strumenti potentissimi, capaci di
amplificarsi e di perdere il loro puro valore di vocaboli.
Lucio Dalla ha scritto nella prefazione del libro
"Storia della musica leggera italiana" che una canzone ha il diritto
di ferire, e quello che ha intenso dire è proprio la
capacità della canzone di arrivare laddove sia la semplice
parola che la più ricercata non hanno potere, cioè
laddove la queste sono fine a se stesse. La canzone invece
poiché ha altri elementi di comunicazione ha un potere che va
oltre la musica e la parola viste come elementi separati. In
più bisogna considerare che la canzone è popolare
cioè ha una diffusione tra le masse e che la sua diffusione
è enorme. Insomma la canzone è cultura tant'è
vero che oggi viene portata nelle università e diventa oggetto
di studio.
Baglioni è considerato da molti un poeta,
un cantastorie, un artista "disarmato" ma forse, più
semplicemente, è un cantautore cioè una persona che
scrive e che canta con professionalità e le sue opere sfiorano
la poesia, sono quelle che sanno ferire molto di più rispetto
ad un trattato di sociologia o di politica che può essere
raccontato, riferito, mentre una canzone deve essere ascoltata o
meglio ancora sentita.
Ed è proprio con questo atteggiamento che
bisogna porsi nell'ascoltare una canzone di Baglioni e trovare
all'interno della fantasia l'immagine lasciata dal pennello di questo
artista.
In questo decennio Claudio Baglioni è
all'apice del successo, come se fosse ripagato di una fatica costata
ad Ercole, e difficilmente la critica lo attacca duramente; anzi si
può dire che sia critica che pubblico si trovano di comune
accordo. Baglioni, in questo periodo, riceve molti premi, vende
tantissimi dischi, effettua delle tournées da prima pagina,
è insomma il divo del momento, quasi un re mida dello star
system italiano.
In questo contesto, si sviluppa e prende forma un
progetto abbastanza ambizioso che non avrà quel riscontro che
invece avrebbe meritato. Forse i tempi non sono ancora quelli giusti,
forse non c'è ancora la maturità necessaria per
affrontare una dimensione nuova, sta di fatto che nel 1987 appare sul
mercato italiano un album abbastanza anomalo.
"Assolo" è un album triplo e... forse si
potrebbe definire live, uso un condizionale in quanto la
registrazione è live ma in realtà non ha niente che a
vedere con un disco live vero e proprio, almeno non come poteva
essere considerato un disco live negli anni ottanta. Questa categoria
di operazioni discografiche veniva effettuata tra una produzione e
un'altra. Generalmente si utilizzava la presa diretta di un concerto,
con tanto di band e con le ovazioni del pubblico onnipresenti (salvo
manipolazioni in studio), un disco easy listening, testimonianza di
tourneés fortunate che il più delle volte era una bella
raccolta di fotografie su vinile.
Un pò come lo era stato "Alé
oó" nel 1982 e come non lo è "Assolo".
Ma ciò che rende particolare "Assolo"
è senz'altro l'aspetto tecnico.
In "Assolo" Baglioni riporta su disco un modo
nuovo di proporsi del vivo.
Eliminati i musicisti, Baglioni si "offre" come
un'intera band. E' lui che, da solo sul palco, canta e suona le
tastiere e le chitarre entrambe collegate ad un computer che
"organizza" la distribuzione dei suoni. Le voci del pubblico
registrate con il Nagra, appaiono come uno strumento musicale, e
comunque la loro partecipazione è marginale.
"Assolo" è un album sperimentale,
tecnicamente molto bello, forse più adatto agli addetti ai
lavori. E' un'autocelebrazione ma tutto sommato è un album
freddo.
Ecco perchè "Assolo" è da
considerarsi un caso a parte. Un quarto ciclo.
Ciò non impedisce a Baglioni di calare di
popolarità, anzi il Baglioni divo continua ad esistere e, alla
luce degli anni successivi, si può anche dire che
l'esperimento di "Assolo" servirà per assaporare meglio i
frutti più maturi.
Ma la crisi è già dietro
l'angolo...
A partire dal 1988, le crisi personali, delle
quali il Baglioni sembra sia stato spesso vittima, si accentuano e
portano a rivoluzionare completamente la sua vita privata,
coinvolgendo anche la sua immagine di artista.
Sicuramente il "fiasco" riportato al concerto di
Amnesty International di Torino ha influito, forse in modo
determinante, in questa crisi ed è comunque impossibile
pensare il contrario.
Baglioni "una tantum" si ritrova oggetto di
attenzione da parte di un certo tipo di stampa "rosa". Dopo sedici
anni di matrimonio si separa dalla moglie. Appare così
l'immagine di un Baglioni diverso, un non-divo, fragile, con
insicurezze, sbandate, insomma un Baglioni nuovo o comunque, un
Baglioni poco conosciuto alle masse.
Se abbiamo accennato a questa svolta, è
perchè questa crisi lo porta al confezionare uno degli album
più sofferti e anche più interessanti della sua
discografia: "Oltre".
All'inizio della campagna pubblicitaria, avrebbe
dovuto chiamarsi "Un mondo più uomo sotto un cielo mago", poi
ha subito uno stravolgimento, forse anche all'interno, e nel novembre
del 1989, esce in triplo l'album di "Oltre".
E' sicuramente un album inusuale, per la prima
volta meramente autobiografico, forse un pò difficile ad
essere assimilato al primo ascolto, basti pensare che alcuni testi
sono stati modificati all'ultimo istante. In sostanza, è un
disco che tutti possono ascoltare ma è palese che, chi conosce
bene la vita di Baglioni e in generale la sua biografia artistica, ha
il compito facilitato cioè riesce a cogliere al meglio
ciò che è riportato in una battuta.
Si ritorna all'album concept, questa volta
però l'occasione non è la fuga di un ragazzo o la
storia d'amore di due adolescenti, ma è la storia di un uomo
alla ricerca di se stesso. Per rendere più fantastico o
fantasy il sapore del racconto, Baglioni ha dato una impronta epica,
con riferimenti a cavalli, animali selvaggi, c'è perfino
Virgilio nel cammino di Cucaio.
Cucaio è questo eroe che parte alla
ricerca di se stesso e che ripercorre la sua vita alla ricerca di un
altro se stesso, di un uomo più maturo, più libero, un
uomo "oltre". Cucaio è Claudio Baglioni.
Infatti da piccolo, non sapendo pronunciare bene
il suo nome, si autochiamava Cucao Bagliò, e questo pretesto
del non saper parlare bene è stato utilizzato per descrivere
un uomo che ancora non conosce bene se stesso, il mondo che lo
circonda, il male di vivere, e come un bambino è curioso, con
la smania di scoprire ciò che è realmente il suo
universo interiore "...e se l'infinito esiste, non è anche
dentro me?".
Al di là del fatto puramente
autobiografico che serve solo come background, c'è la
consapevolezza del voler presentarsi con una pelle nuova, come
un'artista diverso, più maturo e preparato. Inoltre è
da notare la presenza di grossi artisti che hanno partecipato alla
realizzazione dell'album, artisti dal calibro internazionale che
hanno reso possibile con il loro contributo il rendimento qualitativo
dell'intera opera.
Così "Oltre" ci arriva con un sound caldo,
mediterraneo, dove non esiste un limite se non quello del buongusto,
della non esagerazione. Tutto è proposto con l'intenzione di
voler offrire un buon prodotto e se non ci fosse, ciò che
è stata definita una "illegibilità" dei testi, sarebbe
sicuramente il miglior album della sua carriera.
I testi sono tutti bellissimi, alcuni spiccano
per la loro originalità, altri per la stesura, altri ancora
per i contenuti. Infatti, al di là dei testi di "Oltre",
questi gioielli di scrittura potrebbero essere "letti" anziché
"ascoltati", inoltre c'è da dire che finora nessun cantante
è riuscito ad interpretare al meglio una canzone di Baglioni.
"Oltre" è un album bellissimo, cioè è un album
dove ogni canzone gode di vita autonoma ma ha dei limiti
perché è un album difficile e perché è
comunque eterogeneo. Per quanto riguarda quest'ultimo punto, rimanda
un po’ a ciò che è stato detto del primo album "Un
cantastorie dei giorni nostri". Eccetto il fatto che stiamo ormai
parlando di un artista al pieno della maturazione, sembra che anche
in "Oltre" si pongano le basi per un futuro Baglioni che poco
avrà a che fare con l'artista dei primi cicli.
Infatti, se si considerassero i due album
successivi ("Assieme" e "Ancorassieme") come la normale chiusura di
questo periodo, ecco che il tracciato del cerchio partito dal punto
di "Oltre" sembra avere trovato la sua completezza.
Questi due album, pubblicati entrambi nello
stesso anno (1992), sono le testimonianze di esperienze live vissute
sicuramente in maniera differente dalle precedenti esibizioni live.
La diversità sta sia da un punto di vista
prettamente artistico sia da un punto di vista "privato". Insomma se
da un lato c'è la ricerca di trovare l'elemento nuovo che
contraddistingue il recente dal vecchio, si può supporre che
questo elemento varca anche i confini biografici, cioè a dire
strettamente personali.
Il concerto diventa l'occasione per esprimere la
voglia di comunicare una crescita artistica aldilà della
musica, degli strumenti, dei musicisti, insomma del palco come
elemento muto. Chi ha avuto la fortuna di partecipare ad uno di
questi concerti credo che abbia sentito tutto questo e che forse
è anche difficile da raccontare.
Il palco diventa scena viva. E' un palco a forma
di ring (Baglioni ha preso lezioni di pugilato n.d.r.) e su di esso
c'è questo artista instancabile che si propone tra teatro e
musica, tra piccole magie e voglia di giocare con tutti. Il pubblico
è ai quattro lati di questa stupenda creazione: non più
un'immagine piatta e unidimensionale del concerto ma una sensazione
reale di essere sul palco.
E' chiaro che questi elementi sono stati in
seguito sviluppati ed alimentati, come è evidente che qualcosa
sta ancora per succedere.
Ovviamente si parla di futuro, però
è curioso, sebbene siano cose accadute negli anni 90, che
questa esperienza di teatro e musica insieme è un'idea
vecchia. Il musical, il teatro cantato, la commedia musicale, sono
stati degli obiettivi di un Baglioni anni 70 che solo in parte ha
realizzato. Cucaio è oltre.