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Fabio Fazio & gli amici di Gino

Anima Tour
Gita nei nostri Anni Settanta


Mondadori – RAI-ERI


Prefazione di Claudio Baglioni



Il mio incontro con Gino
di Claudio Baglioni

La volta che incontrai Gino, era semisommerso da una trentina di cosiddetti cacciatori di autografo con dedica. Eran trenta ma sembravan trecento, per quanto macello facevano. Gino era il meno intraprendente, per cui ogni tanto scivolava, come un meccanismo di un cuscinetto a sfera, all'esterno del gruppone di spintonanti. Ognuno di loro munito di foglietto, diario, biglietto da visita, fazzolettino di carta, fototessera, pacchetto di sigarette, millelire, francobollo, coriandolo: “Fammelo qui, ho solo questo”. Sempre con la stessa penna che non scrive. Specie su eventuali magliette, berretti o sul braccio, “che dopo non mi lavo più”. L'autografo è un rito. Immancabili, per esempio, due espressioni: - “Non è per me. E per… Ha tutti i tuoi dischi e la camera tappezzata di tue fotografie. Si può essere così stupidi?!?”; - (voce da lontano) “Anch'io c'ho una cosa da fargli firmare. Una bella cambiale!!!” (segue risata). Gino, nel frattempo, per un effetto-rotazione era riuscito a risistemarsi in prima fila. Con un foglio del menù della pensione romagnola, antipasto misto - lasagne - piccatina al limone - macedonia e caffè. Subito travolto da altre mani, altri pezzi di carta e una battaglia di nomi maschili e femminili. Intanto era iniziato il ballottaggio e lo sballottamento per le foto. Anche qui, in genere, nel momento fatale la macchina fotografica non funziona. Il copione prevede battute del tipo: come si fa?, togli il dito da davanti, aspetta che si deve ricaricare il flash, fanne un'altra che se non vengono mi ammazzo... In questa sparatoria di clic e lampi furono immortalate molte parti di Gino, che mi resisteva accanto nonostante i ripetuti tentativi di scansarlo, escluderlo, sopprimerlo. Per ironia del destino fu proprio uno dei miei accompagnatori a tirarlo via di peso, lui che era il più tranquillo. Ma Gino doveva essere un duro, perché ricominciò ad avanzare a piccoli passi, avvitamenti di collo, apnee per insinuarsi tra i corpi degli altri, tornando all'assalto del primo ordine di posti. La poltronissima della firma autentica e una bella dedica, mi raccomando. E io continuavo a firmare e a dedicare. Fino a che dissi: “Questo è l'ultimo, dopo devo andare”. Alzai gli occhi e c'era rimasto solo Gino. Con il suo foglietto stavolta appoggiato su un portafogli, credo del padre. “Come ti chiami” chiesi. E lui farfugliò emozionato: “Sono un tuo beniamino”. Io automaticamente scrissi: "A Beniamino". Lui prese e ringraziò. Poi, mentre se ne andava, pensai che forse s'era sbagliato e avrebbe voluto dire: “Sei il mio beniamino”. E già immaginavo il padre che, guardando il foglio autografato, gli ringhiava: “Gino, sei sempre il solito cretino”.